Abusi sessuali all'infanzia: Tra tutela penale, ragionevole dubbio e scientificità della prova

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Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescente attenzione nei confronti dell’infanzia e della sua tutela. Il dibattito che si è aperto, si è in particolar modo incentrato su due aspetti fondamentali: da un lato la prevenzione dei maltrattamenti, abusi e ogni altra forma di violenza compiuta sui bambini, dall’altro l’aumento del fenomeno dei c.d. falsi abusi sessuali sui minori, fenomeno dalle conseguenze devastanti sulla vita della persona che si trova accusata di uno dei reati cui è attribuito il più grave disvalore sociale.

La tematica è piuttosto delicata. Ebbene si perché quando si parla di abuso sessuale con riferimento alla vittima, le denunce ed il procedimento penale, destano ancora non poche perplessità, a maggior ragione quando questi episodi vedono coinvolti minori. Troppo spesso, purtroppo, accade che il bambino sia inquisito e guardato con sospetto proprio a partire da coloro che in realtà dovrebbero proteggerlo.

Sarà, pertanto, operazione non semplice cercare di spiegare in poche righe quali tutele, quali garanzie vengono offerte dal nostro ordinamento nei casi sopra citati e soprattutto tentare di spiegarle, sotto il profilo più strettamente tecnico della dinamica processuale. Ebbene, ancor prima di rispondere ad una simile domanda doveroso è tentare di dare una definizione al fenomeno.

La questione non è di poco conto, ad oggi infatti si registra un dato: manca una definizione di abuso sessuale all’infanzia che sia convenzionalmente condivisa e accettata, alla quale tutti i professionisti dell’area sociosanitaria e legale possano prestare consenso. Al contrario, accade che ogni soggetto professionale (medici, magistrati, avvocati, psicologi, insegnanti, operatori sociali, forze dell’ordine) che viene in contatto con tale fenomeno e vi interviene, partendo dalla propria e specifica identità e formazione professionale, (da cui giustamente vi trae la propria visione) ritiene di poter dire cosa debba essere dichiarato abuso sessuale.

Si è già detto che le maggiori difficoltà di definire e classificare i comportamenti umani riguardano in particolar modo quelli sessuali illeciti, vale a dire quelli integranti fattispecie di reato. Ma è, tuttavia, necessario, sia sul piano legislativo che su quello psicologico e medico, definire cosa s’intende per abuso sessuale, poiché è dalla sua definizione che dipendono decisioni importanti per il minore, come ad esempio l’attivazione di cure diagnostiche mirate nei confronti di quest’ultimo, ed un procedimento giudiziario contro l’aggressore.

Sulla scorta di queste premesse, si riporta di seguito la definizione che il Montecchi , neuropsichiatra infantile, nel 1994 dava per circoscrivere il fenomeno dell’abuso sessuale come “il coinvolgimento di soggetti immaturi e dipendenti in attività sessuali; soggetti cui manca la consapevolezza delle proprie azioni nonché la possibilità di scegliere”:

La realtà è che il bambino è un soggetto fragile e dipendente e il modo con cui egli vive e percepisce le emozioni e le situazioni è molto più accentuato dell’adulto. Senza la presenza di una figura adulta che accompagni il bambino e gli stia accanto quest’ultimo si trova nella impossibilità di esprimere i traumi subiti e deve perciò rimuoverli.

Una distinzione che, tuttavia, può essere fatta immediatamente è quella che vede a confronto la definizione clinica e la definizione giuridica: la prima, elaborata dalla letteratura psicologica, medica e sociologica, risulta più ampia rispetto alla condotta che integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario, per la cui definizione occorre ricorrere alle sentenze della Corte di Cassazione.

La diversa ottica in cui nell’ultimo secolo viene osservato il bambino e le violenze che può subire, accompagnato da una nuova cultura e stile di vita, hanno pian piano allargato l’orizzonte, abolendo così il limite secondo cui il maltrattamento infantile dovesse essere circoscritto a quello fisico e sessuale, per estenderlo ad una visione ben più ampia in cui vengono presi in considerazione la trascuratezza e gli abusi psicologici, forme di violenza più difficilmente riconoscibili ma a volte molto più gravi e devastanti non solo a livello fisico, ma anche e soprattutto dannose per lo sviluppo psicologico del bambino.

Spesso infatti la violenza che un bambino subisce non è unica ma contemporaneamente o in tempi successivi convergono varie forme di abusi.

Secondo la definizione adottata nel 1978 dal Consiglio d’Europa (IV Seminario Criminologico) per abuso all’infanzia si intendono: “gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”.

Sulla base di questa definizione Francesco Montecchi ha poi proposto una classificazione degli abusi, divisa in tre categorie: Maltrattamento; Patologia nella fornitura di cure; e Abuso sessuale.

In verità, la protezione del minore da un punto di vista giuridico ha conosciuto diverse fasi nel corso della storia dell’umanità e certamente, da ultimo si accompagna al riconoscimento che la società storicamente attua prima, nei confronti del bambino come “persona altra” rispetto all’adulto, poi rispetto a determinati reati che violano l’integrità, dignità e libertà del minore.

Nelle società del passato la vita dei bambini è sempre stata uniformata a quella degli adulti. Essi vivevano, coinvolti nella realtà della vita sociale quotidiana, continuamente esposti a ogni genere di pericolo e violenza, abbandonati a loro stessi, “educati” con punizioni corporali, sfruttati nel lavoro e sessualmente. La definizione di infanzia come esperienza autonoma e distinta rispetto a quella dell’adulto, come categoria concettuale a sé stante, come problema sociale e fase della vita ben definita, nasce soltanto in tempi ben più recenti. Solo all’inizio del XX secolo, definito dalla pedagogista Ellen Key “il secolo del bambino” , le scienze umane – pedagogia, psicologia, sociologia – si pongono con particolare urgenza il tema dell’infanzia e dei suoi bisogni ingiustamente trascurati.

Così, seppure con un certo ritardo anche il diritto iniziò a riconoscere dapprima che vi sono dei doveri degli adulti nei confronti dei bambini e poi che questi ultimi sono portatori di diritti che non solo devono essere rispettati ma che devono anche essere concretamente attuati.

Si è passati, così ad un intervento massiccio del legislatore in tal senso. Ed è proprio l’esistenza di una legislazione sul fenomeno e la sua accuratezza che denotano e misurano all’interno di un Paese il grado e la qualità del riconoscimento del minore e della sua tutela.

Inizialmente, venivano dunque sanzionati fenomeni più facilmente percepibili all’esterno, quali maltrattamento e incuria, seguiti dal riconoscimento di forme più nascoste come la violenza psicologica e l’abuso sessuale, affermando così, il bene della integrità e dignità della persona di minore età, intesa quale soggetto da tutelare. Ebbene, la valutazione dell’abuso all’infanzia è operazione non di poco conto, al contrario essa si presenta estremamente complessa e delicata.

Vari sono i percorsi interpretativi che sono stati elaborati in relazione ad essa: il primo, partito essenzialmente da un approccio medico-pediatrico: l’osservazione è rivolta soprattutto ai segni esteriori evidenti (fisici, comportamentali, psicofisiologici) di una condizione fisica conseguente a un’azione di maltrattamento. Il secondo percorso si è proposto invece, come obiettivo, quello di spiegare il maltrattamento e l’abuso attraverso relazioni causa – effetto dirette e lineari. Operazione, quest’ultima tanto ardua quanto fallace, in quanto maltrattamento e abuso sono difficilmente interpretabili attraverso categorie astratte: non esistono profili-tipo di bambini abusati e nemmeno di adulti abusanti. L’ultimo percorso, quello attualmente più approvato, conduce alla formulazione di modelli di valutazione scientifici fondati e condivisi, derivati dall’esperienze e dalle ricerche sul campo. Quest’ultimo percorso, quello che vede cioè protagonista l’utilizzo del metodo scientifico quale criterio “massimo” per l’accertamento e la valutazione di eventuali abusi all’infanzia, è strettamente connesso al tema della causalità scientifica come veicolo di accertamento della verità processuale.

Ad avviare il discorso, Federico Stella , che dopo aver affermato che solo chi ha colpevolmente causato l’evento può essere punito e ciò, non può prescindere dal provare la causalità e colpevoleza oltre ogni ragionevole dubbio, introduce il c.d. modello di sussunzione sotto le leggi scientifiche: la spiegazione della causa di un evento si ottiene dimostrando l’avvenuta concretizzazione della legge scientifica di copertura pertinente nel caso particolare (c.d. prova particolaristica). Le leggi di copertura, per il diritto penale, sono le leggi causali, cioè leggi di forma e valenza universale oppure leggi statistiche quasi universali, perché provviste di un coefficiente percentualistico vicinissimo all’uno. Ecco l’introduzione della legge scientifica nel processo penale. C’è chi la definisce una icona del processo penale del nuovo millennio, e chi si limita semplicemente a considerarla, strumento tecnico idoneo alla ricostruzione del fatto storico. Ma più in generale, si può dire che prova scientifica è quella prova per cui partendo da un fatto dimostrato, un fatto noto, si utilizza una legge scientifica per accertare l’esistenza di un altro fatto da provare e quindi, un fatto ignoto.  Il fatto stesso dell’aggettivazione “scientifica” rispetto al termine prova non deve, tuttavia, far pensare che il risultato investigativo, il risultato probatorio che si ottiene attraverso l’espletamento di essa, abbia la caratteristica della verità, al contrario, deve dirsi che la prova scientifica dia un contributo rilevante all’accertamento del fatto. Non si può, infatti, negarsi che essa può assumere un alto tasso di attendibilità che certamente concorre a ridurre i margini di incertezza delle decisioni che portano alla conclusione di un procedimento penale .

Ma cosa c’entra la prova scientifica con i reati di abuso all’infanzia?

Ebbene, se è vero – come anticipato – che la valutazione dell’abuso sessuale deve essere effettuata sulla base di elaborati modelli scientifici, una riflessione importante deve essere fatta in relazione al ruolo e alla capacità che i periti e gli esperti hanno nel processo penale, in particolar modo con riferimento alle loro capacità di applicare le proprie conoscenze scientifiche, quale strumento di rilevazione degli indicatori di abuso sessuale.

I bambini rappresentando un mondo fragile e delicato ecco che il ruolo degli esperti è fondamentale sia per la loro tutela psico-fisica, sia quanto alla preservazione degli elementi utili ai fini della ricostruzione del fatto e dell’accertamento della verità.

Accertare un caso di abuso sessuale sul minore significa, come già detto, operare un intervento delicato e complesso che presuppone un alto grado di competenza e professionalità in ciascuno degli operatori che, con compiti e modalità diverse, ne prendono parte. Presuppone inoltre un buon livello di coordinamento e collaborazione tra le diverse aree di competenza, in modo da operare con un’ottica allargata che tenga conto sia degli aspetti fisici, psicologici, individuali e relazionali.

Come è agevole comprendere, quello dell’abuso all’infanzia è un tema che coinvolge e involge diverse discipline. Ed è proprio questa la problematicità maggiore. Le difficoltà maggiori nel processo di intervento nei casi di violenza sessuale è determinata dalla presenza di sistemi che interagiscono obbligatoriamente e i cui obiettivi sono diversi e a volte confliggenti tra di loro: da una parte, il sistema giudiziario penale, che ha l’obiettivo di perseguire i reati e di definire le sanzioni connesse al giudizio di colpevolezza; dall’altro, il sistema giudiziario civile minorile, che ha il compito di valutare i fatti relativi alle situazioni di pregiudizio per i minori e di decidere in merito alla potestà parentale; per finire con il sistema dei servizi socio-sanitari, che ha la funzione, invece, di realizzare le misure di protezione del minore, di fornire i sostegni adeguati per aiutare gli adulti d assumersi le proprie responsabilità.

Ebbene, solitamente per accertare l’effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori: a) indicatori cognitivi; b) indicatori fisici; c) indicatori emotivi e comportamentali.

Questi indicatori, rilevanti generalmente nell’ambito dell’effettuazione delle consulenze tecniche e delle perizie, non possono essere utilizzati indiscriminatamente, perché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause.

Invero, il punto debole comune a tutti gli indicatori suddetti, risiede nel tentativo erroneo, ma che solitamente viene commesso, di voler generalizzare e incasellare tutto in categorie astratte e aprioristiche. Il punto è che nonostante questi sintomi siano più frequenti nei bambini abusati rispetto a quelli non abusati, la presenza di essi non è sufficiente a dimostrare che l’abuso sia realmente avvenuto .

In questi casi il fraintendimento oltre a condannare o comunque infamare un innocente distruggerebbe, in maniera spesse volte irreversibile la sua stessa esistenza.
Proprio per tali motivi, è di fondamentale importanza che le perizie e le consulenze tecniche, attraverso le quali vengono rilevati siffatti indicatori, siano svolte da esperti che posseggano una formazione specifica e che rispettino il loro ruolo: non si richiede certo loro di anticipare il giudizio.

Per evitare tale rischio, il modo di procedere deve essere teso alla falsificazione di ipotesi alternative: i comportamenti segnalati e osservati vanno integrati con ogni altro tipo di informazione disponibile, vagliando le loro caratteristiche e frequenza, senza perdere mai di vista le numerose ipotesi alternative.

È stata ormai da tempo superata, la concezione positivista di inizio secolo che vedeva la scienza come completa e infallibile, concezione accolta, peraltro, nel vecchio codice di procedura penale del 1930. Allora le disposizioni sulla perizia, prevedevano che il giudice potesse nominare un perito che, individuata in segreto la legge scientifica “unica e infallibile”, la applicava al caso concreto comunicando infine i risultati direttamente al giudice, il quale poteva aderire o discostarsi evitando persino di motivare la decisione a riguardo.

Nel nuovo codice del 1988 troviamo, invece, disposizioni che riflettono quella concezione secondo cui la scienza non è più vista come unica e infallibile, bensì come incapace di spiegare con una solo legge l’infinità di fenomeni possibili nella realtà. Le teorie scientifiche si presentano come incomplete, soggette a continue revisioni e modifiche. Anche la scienza medica, in qualità di scienza è soggetta a una perenne mutabilità, i medici devono affidarsi alla conoscenza teorica, accettata dalla comunità scientifica in un dato momento storico, ma essa non può essere vera in modo assoluto.

Ciò, beninteso, non deve portare ad una generale sfiducia nei confronti degli strumenti scientifici: tra più teorie è sempre possibile individuare quella che meglio si adatta al caso concreto e la scienza progredisce proprio grzie alla messa in crisi degli assunti precedenti attraverso il metodo falsificazionista.

Occorre, tuttavia, interrogarci e verificare la sua incidenza sul piano dell’accertamento processuale, con ciò senza trascurare che la prova scientifica o tecnica in quanto tale non può certo sottrarsi alle ordinarie regole del diritto penale nè tanto meno alle garanzie che sono previste e determinate dal nostro codice di procedura penale. La questione della prova scientifica rimane infatti, comunque una questione di prova all’interno del processo penale, che deve essere assunta seguendo le regole ordinarie: il contraddittorio, il diritto di difesa, le garanzie in ordine alle modalità di assunzione della prova scientifica. È un duro equilibrio, ma inevitabile tanto quanto necessario, quando si tratta di abusi sessuali che coinvolgono un minore, argomento sul quale ancora resistono tabu e chiusure mentali.

Bisogna, in altre parole, capire e, ove possibile stabilire, dove finisce l’ambito di competenza della scienza e dove inizia quello affidato al diritto.

La questione, per vero, ha assunto notevole importanza nel corso degli ultimi anni quando il diritto penale, sempre più attento alla tutela di alcuni beni fondamentali, quali la salute, l’ambiente, ha richiesto l’ausilio di accertamenti molto complessi, che pertanto richiedono sempre più spesso l’intervento di esperti in settori tecnico-scientifici. Occorre, allora, sottolineare con quanta cautela devono essere interpretati gli indicatori di abuso sessuale, per evitare quelle irrimediabili conseguenze derivanti dal marchiare a fuoco un soggetto quale autore di un crimine contro l’infanzia.

Non va dimenticato che caposaldo del nostro ordinamento, ed espressione massima di civiltà giuridica, è il principio cristallizzato all’interno dell’art. 533 c.p.p., per cui la penale responsabilità dell’imputato, va accertata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Si è affermato che tale locuzione svolge una doppia funzione. Quella più evidente è di evitare all’imputato il rischio di una condanna ingiusta: il giudice può condannare solo quando la colpevolezza abbia trovato piena conferma nelle prove d’accusa e nessuna smentita in quella a favore, ma soprattutto che ciò sia ragionevole, ovverosia “comprensibile da una persona razionale” e, dunque, oggettivabile attraverso una motivazione che faccia riferimento ad argomentazioni logiche nel rispetto del principio di non contraddizione e che, al contrario non si tratti di un dubbio intimo, o meramente psicologico, possibile o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice. Ma simmetricamente, la formula vuole anche sottolineare che, se la colpevolezza è suffragata da un solido e coerente quadro probatorio la via obbligatoria, non può che essere quella della condanna.

Se queste sono le normali regole di giudizio, c’è da chiedersi cosa cambia quando il protagonista del processo è purtroppo un minore vittima di un abuso all’infanzia.

Occorre subito sottolineare l’importanza che anche nel reato di abuso sessuale sui minori riveste la regola dell’oltre ragionevole dubbio come “controllo probatorio” che il giudice deve effettuare.

Tale regola si applica a tutti gli elementi del reato, in primo luogo, al requisito della causalità, secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, fino all’individuazione dell’autore del reato.

E’ necessario provare ogni fatto essenziale oltre ogni ragionevole dubbio: se non si riesce, se c’è un dubbio fondato sulla ragione, bisogna prosciogliere.

La questione che si pone, allora, è se le perizie e consulenze tecniche psicologiche e medico-legali effettuate dagli esperti sul minore siano sufficienti e valide a sostenere un giudizio di colpevolezza che rispetti in pieno questa importante regola di giudizio.

Proviamo solo a immaginare quali gravi conseguenze potrebbero derivare dal condannare un innocente?

Certamente le più devastanti. Privare un soggetto, che non ha commesso alcun reato, della libertà individuale, violando il principio per cui “nulla poena sine culpa”, la perdita di fiducia della comunità nell’applicazione della legge e la perdita della certezza che tutti i diritti fondamentali siano garantiti, nonché, nel caso di errata identificazione del responsabile di un fatto di reato realmente commesso, la contestuale impunità del vero colpevole, che si sentirà libero di commettere altri reati, venendo così compromessi, già dall’avvio delle indagini e per tutto il corso del processo valori di portata costituzionale, quali la dignità e rispetto dell’essere umano, che si concretizzano nella sua libertà, nella reputazione e buon nome, e che destabilizzano radicalmente la loro vita, con grave danno affettivo, morale e pecuniario. Ecco che dunque, in tutti i casi ove è richiesto l’ausilio di consulenti tecnici, questi ultimi devono limitarsi a fornire all’organo giudicante un ventaglio di ipotesi deducibili dagli elementi riscontrati, lasciando a quest’ultimo la funzione di valutare tali elementi, nel senso di conferire loro maggiore o minore consistenza probatoria attraverso l’integrazione con gli altri elementi di prova acquisiti al processo. Dovendo, allora, rispondere alla domanda posta all’inizio, quali tutele, quali garanzie offre il nostro ordinamento in ordine alle ipotesi di abuso sessuale ai minori, si può ora rispondere che le ottiche di intervento sono molteplici e vedono coinvolte diverse istituzioni: tra il percorso di tutela penale del minore vittima di abuso sessuale, volto alla ricerca della verità storica dei fatti e alla sua tutela civile, volta alla pianificazione di tutti quegli interventi che possono garantire al minore protezione e il recupero psicologico.

Esistono ciononostante ancora delle evidenti limitazioni alla buona riuscita ed efficacia della tutela offerta dal nostro sistema. Prima tra tutte la discrasia esistente tra i tempi del bambino abusato e i tempi della giustizia, spesso causa di un’insufficiente comunicazione tra i vari operatori; la scarsa conoscenza reciproca delle competenze proprie delle diverse figure professionali coinvolte. Un coordinamento tra gli operatori diventa strumento utile e necessario per abbreviare i tempi per l’attuazione della tutela del bambino. Ed infine, la questione relativa alla formazione professionale. È sempre più pressante la necessità di una conoscenza interdisciplinare di base per tutti i professionisti che in modo diretto e in diretto entrano in contatto con i minori, a causa della delicatezza degli interventi diagnostici, clinici e peritali che riguardano l’infanzia.

Ebbene, se tutte queste sono le esigenze non ci si deve, tuttavia, dimenticare della individualità, personalità e dignità del minore che richiede rispetto e attenzione ecco perché è necessario, al di là di ogni tecnicismo o teoria, non distogliere l’attenzione dal reale cuore del problema: la tutela dell’infanzia.

 Avv. Sabrina Caporale

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