Anche il padre ha diritto ad essere risarcito per il c.d. danno da nascita indesiderata a nulla rilevando il fatto che il contratto relativo alla prestazione di cure tese a garantire il corretto decorso della gravidanza sia stato stipulato solo tra la gestante e la struttura sanitaria

Con la Sentenza n. 10812 depositata il 18 aprile 2019 gli Ermellini si sono occupati di un complicato caso di malpractice medica che risale agli anni ’90.

I fatti di causa

A seguito di un travagliato iter giudiziario nel 2014, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della pronunzia del giudice di prime cure, accoglie parzialmente la domanda di risarcimento di una coppia di coniugi siciliani per i danni neonatali sofferti da loro figlia durante il parto.
La Corte Territoriale ravvisa la responsabilità del medico di turno il giorno del parto presso la divisione di ostetricia e ginecologia dell’ospedale per non aver sottoposto la partoriente a tutti gli esami strumentali per accertare la grave sofferenza del feto e le condizioni dell’altro, trattandosi di parto gemellare, e per trasferire quindi la puerpera rapidamente presso un’altra struttura attrezzata con un’unità di terapia intensiva prenatale.
I genitori propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza adducendo una serie di doglianze tra le quali la circostanza che la Corte territoriale avesse escluso la legittimazione contrattuale del padre, che non aveva ottenuto alcun risarcimento pur dovendo far fronte alle costose cure di cui necessitava la figlia. Tale obiezione è stata accolta dalla Corte di Cassazione assieme agli altri motivi.

Rapporto tra condotta del medico e danno

Nella complessa ed articolata decisione in esame la Cassazione ha ricostruito con metodo analitico l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di responsabilità delle strutture sanitarie ex se e per fatto dell’ausiliario, osservando che la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente: a) per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura; b) per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui essa si avvale (cfr. Cass., 3/2/2012, n. 1620; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362).
Precisa, inoltre, che il rapporto in virtù del quale il debitore è chiamato a rispondere non può essere distinto tra comportamento doloso ovvero colposo del soggetto agente.
In tale ambito, la struttura sanitaria risponde direttamente di tutte quelle ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si è avvalso, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, ovvero dei danni che ha potuto arrecare in virtù di quel particolare contatto cui è risultato esposto nei suoi confronti il creditore.
Sussiste la responsabilità diretta della struttura sanitaria nel caso in cui l’evento dannoso, come nel caso de quo, debba essere ricondotto alla condotta colposa posta in essere, anche a insaputa della stessa, dal medico, della cui attività essa si è comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale (cfr. Cass., 27.8.2014, n. 18304).
In altri termini, confermata la validità del principio causale puro (c.d. all or nothing), non essendo ammissibile la comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale non imputabile ma solo tra comportamenti umani colposi (v. Cass., 21/7/2011, n. 15991, e conformemente Cass., 6/5/2015, n. 8995; Cass., 29/2/2016, n. 2893; Cass., 20/11/2017, n. 27254; Cass., 21/8/2018, n. 20829; Cass., 21/8/2018, n. 20836), deve nel caso ribadirsi che la valutazione equitativa attiene propriamente non già all’accertamento del fatto costitutivo del danno risarcibile, e in particolare ad uno degli elementi della struttura dell’illecito e dell’inadempimento qual è – unitamente alla condotta e all’evento – il nesso di causalità, bensì alla – logicamente successiva (all’accertamento dell’an dell’illecito o dell’inadempimento) – fase della determinazione del quantum (art. 1226 c.c.) del danno-conseguenza risarcibile.

La responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria è configurabile anche relativamente ai soggetti terzi

Gli Ermellini hanno  già avuto modo di affermare, che la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria oltre che nei confronti del paziente è configurabile anche relativamente ai soggetti terzi cui si estendono gli effetti protettivi del contratto, e in particolare ai prossimi congiunti, tra cui il padre, anche se il contratto sia stato stipulato tra una gestante e una struttura sanitaria e/o un medico, avente in particolare ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza (cfr. Cass., 11/05/2009, n. 10741; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 22/7/2004, n. 13634. Con riferimento al danno c.d. da nascita indesiderata scaturente dalla mancata rilevazione di malformazioni congenite del concepito, cfr. altresì, da ultimo, Cass., 21/8/2018, n. 20829; Cass., 29/1/2018, n. 2070; Cass., 2/10/2012, n. 16754; Cass., 2/2/2010, n. 2354).
Va per altro verso posto in rilievo che come la Suprema  Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, la relazione materiale designa invero il derivare di un evento da una condotta (dolosa o) colposa, dovendo propriamente qualificarsi come nesso di causalità (non già meramente materiale bensì) giuridica quantomeno in ragione dell’essere essa rilevante per il diritto (v. Cass., 29/2/2016, n. 3893. Cfr. altresì quanto al riguardo sostanzialmente adombrato da Cass., 21/7/2011, n. 15991), il (successivo) diverso ed autonomo momento della determinazione del risarcimento dovuto attiene in realtà propriamente non già al piano della c.d. causalità equitativo-proporzionale (“apportioment of liability”) (in argomento v. Cass., 16/1/2009, n. 975) bensì a quello dei criteri di delimitazione dell’ambito del danno risarcibile, come risulta confermato (anche) dall’interpretazione che riceve l’art. 1223 c.c..
Tale norma (richiamata dall’art. 2056 c.c.) viene infatti ormai da tempo -in accordo con la dottrina – dalla giurisprudenza di legittimità intesa come da riferirsi non solo alle conseguenze dal danno evento derivanti in via immediata e diretta, ma anche quelle mediate ed indirette (v. Cass., 19/1/1999, n. 475; Cass., 9/5/2000, n. 5913; Cass., 16/2/2001, n. 2335; Cass., Sez. Un., 1/7/2002, n. 9556; Cass., 19/8/2003, n. 12124; Cass., 4/7/2006, n. 15274. E già Cass., 6/5/1966, n. 1173; nonché, da ultimo, Cass., 22/10/2013, n. 23915), facendosi in particolare ricorso al criterio della regolarità causale e considerando risarcibili i danni rientranti nel novero delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto (v. Cass., 20/10/2014, n. 22225; Cass., 12/2/2014, n. 3207; Cass., 24/4/2012, n. 6474; Cass., 16/6/2011, n. 13179; Cass., 23/12/2010, n. 26042; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., 31/5/2003, n. 8828; Cass., 1/12/1998, n. 12195; Cass., 11/11/1986, n. 6607. E già Cass., 9/4/1963, n. 910), nell’avvertita la necessità di non lasciare priva di ristoro l’ipotesi in cui l’evento lesivo sia conseguenza necessitata del fatto lesivo quand’anche statisticamente anomalo, sicché il criterio della prevedibilità va distinto da quello della normalità delle conseguenze (v. Cass., 29/2/2016, n. 3893).
Come gli Ermellini hanno già avuto occasione di porre in rilievo, la norma di cui all’art. 1223 c.c., si risolve in realtà nell’indicazione di un mero criterio (da utilizzarsi unitamente a quelli posti agli artt. 1225, 1226, 1227 e 2056 c.c.) di delimitazione dell’ambito del danno risarcibile (cfr. già Cass., 15/10/1999, n. 11629) causalmente ascritto alla (“cagionato” dalla) condotta qualificata dalla colpa (o dal dolo) del soggetto responsabile, non essendovi necessariamente coincidenza tra danno arrecato e danno risarcibile (v. Cass., 29/2/2016, n. 3893, ove si pone in rilievo come la stessa richiamata Cass., 21/7/2011, n. 15991 faccia a tale significato in realtà sostanzialmente riferimento laddove evoca la “selezione del pregiudizi risarcibili”).

I criteri per delimitare la giuridica rilevanza delle conseguenze dannose

Si tratta allora di delineare i criteri valevoli a delimitare la giuridica rilevanza delle conseguenze dannose eziologicamente derivanti dal danno evento costituenti integrazione del rischio specifico posto in essere dalla condotta (dolosa o) colposa del debitore/danneggiante, che a tale stregua solo a carico del medesimo, e non anche sul creditore/danneggiato, debbono conseguentemente gravare.
Se ci si trova in presenza di danni conseguenza, come ad esempio l’aggravamento o la morte, costituenti effetto delle eccezionali condizioni personali del danneggiato ovvero del fatto successivo del terzo e in particolare del medico, non può invero pervenirsi a ridurre o escludere anche il relativo risarcimento in favore della vittima.
II danneggiato rimane infatti agli stessi specificamente esposto in conseguenza dell’antecedente causale determinato dalla condotta colposa o dolosa del debitore/danneggiante, quest’ultimo dovendo pertanto risponderne sul piano risarcitorio.
Un po’ diverso è il caso in cui, come nella fattispecie caso de quo, ci si trovi in presenza di un pregresso fattore naturale non legato all’altrui condotta colposa da un nesso di interdipendenza causale.
Secondo gli Ermellini, infatti, nel caso in cui un pregresso fattore naturale non imputabile venga individuato quale antecedente che, pur privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, sia dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, a esso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione della struttura dell’illecito, e in particolare dell’elemento del nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso.
Appartiene, infatti, ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui quest’ultima si inserisce.
Allo stesso può assegnarsi rilevanza unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, e conseguentemente pervenirsi, sulla scorta di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, alla delimitazione del quantum del risarcimento dovuto dal responsabile (cfr. Cass., 29.2.2016, n. 3893).

Il principio causale puro

In altri termini, confermata la validità del principio causale puro (c.d. all or nothing), non essendo ammissibile la comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale non imputabile ma solo tra comportamenti umani colposi (v. Cass., 21/7/2011, n. 15991, e conformemente Cass., 6/5/2015, n. 8995; Cass., 29/2/2016, n. 2893; Cass., 20/11/2017, n. 27254; Cass., 21/8/2018, n. 20829; Cass., 21/8/2018, n. 20836), deve nel caso ribadirsi che la valutazione equitativa attiene propriamente non già all’accertamento del fatto costitutivo del danno risarcibile, e in particolare ad uno degli elementi della struttura dell’illecito e dell’inadempimento qual è – unitamente alla condotta e all’evento – il nesso di causalità, bensì alla – logicamente successiva (all’accertamento dell’an dell’illecito o dell’inadempimento) – fase della determinazione del quantum (art. 1226 c.c.) del danno-conseguenza risarcibile.
Quindi, secondo la Corte, al fattore naturale non imputabile privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, appartenendo a una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce la condotta del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire – sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concrete – solamente a una delimitazione del quantum del risarcimento.
La responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, oltre che nei confronti del paziente – asseriscono gli Ermellini – è configurabile anche relativamente ai soggetti terzi cui si estendono gli effetti protettivi del contratto, e in particolare ai prossimi congiunti, tra cui anche il padre, anche qualora il contratto sia stato stipulato tra una gestante e una struttura sanitaria e/o un medico, avente in particolare ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza”.
La Suprema Corte ha quindi disposto la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, dovrà procedere a un nuovo esame dei motivi accolti, tra cui quello relativo alla legittimazione del papà.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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