Annullata la condanna per l’uomo imputato di corruzione, perché fondata sulle sole dichiarazioni dell’unico teste di accusa, che in dibattimento, aveva ripetutamente dichiarato di non ricordare quanto accaduto nell’immediatezza dei fatti

Ed infatti, “Mentre un margine di recupero delle dichiarazioni precedentemente rese e impiegate per le contestazioni è possibile se il teste, pur confermando di non ricordare, riconosca di aver fornito quelle indicazioni conoscitive, il discorso si pone in termini differenti laddove, anche a seguito di quelle contestazioni, permanga una insuperata difformità tra le dichiarazioni rese in dibattimento e quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni”

La vicenda

In primo grado, il Tribunale di Mantova aveva pronunciato sentenza di condanna dell’imputato, per aver consegnato 200 euro in banconote ad una operatrice sanitaria dell’ASL in servizio presso l’ ospedale psichiatrico giudiziario, per introdurre sostanza stupefacente di tipo hashish che egli aveva, a sua volta, acquistato dalla donna ad un prezzo superiore a quello corrente sul mercato.

L’accusa era quella di corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio. L’operatrice sanitaria dal suo canto, aveva guadagnato la plusvalenza, ossia la somma corrispondente alla remunerazione dell’atto posto in essere in contrasto con i suoi doveri di fedeltà, onestà e vigilanza e in violazione dalla normativa vigente e dalle regole di servizio.

Avverso tale sentenza l’imputato aveva presentato ricorso per Cassazione per denunciare la violazione di legge, in relazione agli artt, 500, comma 2, cod. proc. pen. e 111 Cost., e il vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità. Ed invero, la Corte distrettuale – a sua detta – aveva erroneamente confermato la condanna di primo grado basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dall’unico teste dell’accusam nella fase delle indagini preliminari e, utilizzate per le contestazioni durante l’esame ma non confermate in dibattimento.

In altre parole la corte d’appello, aveva “illogicamente argomentato la propria decisione come se quella prima deposizione fosse stata confermata dal teste, laddove la stessa era stata persino contraddetta dalle indicazioni fornite da altro testimone”.

Il giudizio di legittimità

Con la sentenza in commento, i giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione (n. 21769/2019) hanno accolto il ricorso formulato dall’imputato perché fondato.  

Dal combinato disposto degli artt. 500, commi 1 e 2, e 526 cod. proc. pen, si evince che, di regola, le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, raccolte unilateralmente dalle parti nella fase delle indagini e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, che siano state impiegate in tutto o in parte per contestazioni nel corso dell’esame dibattimentale di quel dichiarante, possono essere utilizzate solo ai fini della valutazione della credibilità dello stesso testimone: di esse, dunque – nel rispetto del principio costituzionale del contraddittorio – non è possibile una utilizzazione diretta ai fini della deliberazione, salvo che, a seguito della contestazione, il propalante non ne abbia replicato il contenuto, e salvi i casi eccezionali, previsti dai commi 4, 5 e 7 del citato art. 500, nei quali la utilizzazione ai fini della decisione delle dichiarazioni rese prima del dibattimento è legittima, anche in ossequio a quanto stabilito dall’art. 111, comma 5, Cost., secondo cui “La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha iuogo in contraddittorio per consenso dell’imputato (…) o per effetto di provata condotta illecita”.

I precedenti giurisprudenziali

Nel tentativo di definire i contorni applicativi di tali regole processuali, nella giurisprudenza di legittimità si è puntualizzato che, in generale, nel corso dell’esame dibattimentale del testimone e delle parti.private, può procedersi alla contestazione delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti, esaminati tutte le volte in cui le stesse presentino difformità rispetto alle dichiarazioni dibattimentali, e ciò tanto che nell’istruttoria dibattimentale il soggetto esaminato abbia manifestato una conoscenza diversa, quanto che abbia rivelato di non ricordare le vicende o i fatti sui quali aveva riferito in precedenza (così, da ultimo, Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Amaddio, Rv. 264014).

Tuttavia, è sempre necessario verificare con attenzione il tenore delle dichiarazioni rese dal testimone in dibattimento: perché, mentre un margine di recupero delle dichiarazioni precedentemente rese e impiegate per le contestazioni è possibile se il teste, pur confermando di non ricordare, riconosca di aver fornito quelle indicazioni conoscitive e ne confermi la veridicità, il discorso si pone in termini differenti laddove, anche a seguito di quelle contestazioni, permanga una insuperata difformità tra le dichiarazioni rese in dibattimento e quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni, dovendo, in questo caso, trovare piena applicazione la sola disposizione dettata dal comma 2 dell’art. 500 del codice di rito (in questo senso, tra le diverse, Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018).

Di tali principi non aveva fatto corretta applicazione la corte distrettuale tenuto che nel corso del giudizio di primo grado, durante l’esame dibattimentale del principale ed unico teste di accusa, questi aveva ripetutamente sostenuto di non ricordare con precisione quanto accaduto il giorno dell’evento in contestazione.

Tanto è bastato, allora, ai giudici della Suprema Corte per disporre l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, con l’adozione della formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”.

Avv. Sabrina Caporale

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