Risponde sempre la casa di cura dell’inadempimento della prestazione svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato e anche se la scelta di detto medico sia avvenuta ad opera del paziente o si tratti del suo medico “di fiducia

Con sentenza resa in data 18/10/2016 la Corte d’Appello di Firenze, aveva confermato la sentenza di condanna già emessa dal giudice di prime cure, a carico di una casa di cura al risarcimento di tutti i danni patiti da un paziente, a causa di una infezione contratta a seguito di un intervento chirurgico eseguito all’interno della predetta struttura sanitaria, per mano di un chirurgo.

I giudici della corte territoriale avevano riconosciuto la responsabilità della struttura, ai sensi dell’art. 1218 c.c., ossia in relazione al fatto del medico, del cui operato la stessa casa di cura si era avvalsa, a nulla rilevando l’insussistenza di alcun rapporto di dipendenza tra questa e detto medico.

Sotto altro profilo, la corte d’appello aveva confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di manleva proposta dalla casa di cura nei confronti della compagnia di assicurazioni, rilevando come le condizioni di polizza escludessero la copertura assicurativa della responsabilità della struttura per il fatto ascrivibile a personale dalla stessa non dipendente.

Avverso siffatto provvedimento, proponeva ricorso per cassazione la parte soccombente, denunciando tra gli altri motivi di impugnazione, l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito nell’aver attestato una sorta di responsabilità oggettiva a suo carico, per il fatto del medico ausiliario, senza indagare sugli eventuali profili di colpevolezza direttamente e immediatamente imputabili alla casa di cura, in tal modo omettendo di procedere alla doverosa delimitazione delle diverse prestazioni ascrivibili alla responsabilità dell’una e dell’altra parte.

Ma secondo i giudici Ermellini, il motivo è infondato.

La Suprema Corte, preliminarmente, ha affermato che il giudice di merito ha correttamente sancito la-responsabilità contrattuale della casa di cura per il fatto, interamente attribuibile al medico (ex art. 1228 c.c.) della cui prestazione la stessa si era avvalsa. Ciò, indipendentemente dalla circostanza che la scelta di detto medico fosse avvenuta ad opera del paziente.

Al riguardo è stato richiamato il consolidato insegnamento della giurisprudenza secondo il quale l’accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, in base alla quale la stessa è tenuta a una prestazione complessa, che non si esaurisce nell’effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche), ma si estende a una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle lato sensu alberghiere (Sez. 3, Sentenza n. 8826 del 13/04/2007).

Ne consegue che il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo, insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 18610 del 22/09/2015; Sez. 3, Sentenza n, 13953 del 14/06/2007).

La responsabilità della casa di cura

Da tali premesse consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni poste direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche ‘di fiducia’ dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (v. Sez. 3, Sentenza n. 18610 del 22/09/2015, cit.; Sez. 3, Sentenza n. 13953 del 14/06/2000).

A tal proposito, la Cassazione prova ulteriormente a fare chiarezza sul cd. contratto di “Spedalità”. Esso – afferma – qualificabile nei termini di un contratto legalmente atipico, pur essendo caratterizzato da contenuti di sicura articolazione e complessità, rimane pur sempre definito, sul piano causale dall’oggetto essenziale che lo distingue e che si identifica con l’obbligazione principale integrata dalla prestazione del medico (sia essa d’indole diagnostica e/o terapeutica), rispetto alla quale ogni altra prestazione secondaria (alberghiera; di messa a disposizione del personale medico ausiliario; del personale paramedico; dell’apprestamento delle attrezzature necessarie, etc.) assume necessariamente un carattere di natura accessoria.

Ebbene, nei casi (radicalmente diversi da quello oggetto dell’odierno esame) in cui la prestazione di una casa di cura risulti espressamente limitata alla sola messa a disposizione, in favore di un’azienda ospedaliera, del personale paramedico, dell’immobile con i relativi impianti, nonché del vitto per i ricoverati, la stessa non rientra nel contratto atipico di spedalità, poiché di tale contratto (atipico) non ripete il connotato essenziale che consiste propriamente nell’effettuazione delle cure mediche e chirurgiche (sì da non richiedere neppure che la casa di cura si assoggetti all’accreditamento istituzionale previsto dalla legge; v. Sez. 3 – , Sentenza n. 25844 del 31/10/2017).

La decisione

Diverso è invece il caso (come quello in esame) in cui all’interno della struttura sanitaria vi sia stato l’inserimento (sia pure temporaneo, incidentale od occasionale) di un medico, al fine di provvedere all’esecuzione di prestazioni sanitarie di carattere diagnostico e/o terapeutico in favore di un determinato paziente (pur quando tale medico fosse ‘di fiducia’ dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto). in tal caso, la detta struttura risponde, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dell’inadempimento della prestazione svolta direttamente dal sanitario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, in ragione del più volte richiamato intimo collegamento (sia pure temporaneo od occasionale) tra la prestazione medica e l’organizzazione aziendale.

Trova, in questo caso, applicazione il principio generale (più di recente ribadito nell’art. 7 della legge n. 24/2017) in forza del quale la struttura sanitaria che si avvale, nell’adempimento delle proprie obbligazioni, dell’opera di operatori sanitari (pur quando scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa) risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. – e dunque in termini oggettivi delle loro condotte dolose o colpose.

E’ quello che è accaduto nella fattispecie oggetto della vicenda giudiziaria in esame, ove la casa di cura è stata giudicata responsabile per l’inadempimento del medico in relazione alla prestazione a lui rimessa. Si tratta di una sorta di responsabilità oggettiva che esclude la possibilità di avvalersi di una eventuale prova liberatoria diretta ad accertare l’inesistenza di un’eventuale culpa in eligendo o in vigilando.

 

 

Sabrina Caporale

 

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