Per la difesa non era conciliabile con la violenza il fatto che la donna, in virtù del peso di 100 chili, si fosse calata da sola i pantaloni sul sedile anteriore destro dell’automobile

Nella vicenda oggetto di questa breve disamina (violenza sessuale su donna di 100 chili), commenteremo la pronuncia della Suprema Corte di Cass. Pen. (n° 38746/2018), emessa dell’ambito del procedimento cautelare, all’esito dell’applicazione all’indagato della misura degli arresti domiciliari.

In particolare, nel caso di specie, nei confronti dell’indagato veniva applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, la cui ordinanza veniva peraltro confermata dal Tribunale del Riesame, per il delitto previsto e punito dall’art. 609 bis c.p., perché, secondo l’ottica accusatoria, “minacciando di morte la persona offesa, dandole un morso sul mento, successivamente bloccandola con il corpo e tenendole ferme le braccia, l’aveva denudata, costringendola a subire toccamenti degli organi sessuali ed un rapporto sessuale completo”.

Ebbene, la difesa dell’indagato riteneva il rapporto fosse stato consensuale. Erano infatti emerse discrasie difficilmente superabili. In particolare non era conciliabile con la violenza “il fatto che la donna si era calata da sola i pantaloni per consentire all’uomo la congiunzione sul sedile anteriore destro dell’automobile, considerato che ella pesava oltre 100 chili”. La difesa faceva riferimento, peraltro, anche a quanto scritto nella consulenza eseguita sullo schienale dell’autovettura.

Inoltre, si riteneva che le immediate vicinanze di un campo sportivo e la circostanza che la vittima avesse comunicato tramite sms con la cugina, fossero elementi che consentivano di escludere il delitto di violenza sessuale a carico dell’indagato e dunque la misura cautelare personale applicata nei suoi confronti.

Ebbene, la Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondato il ricorso per cassazione, ritenendo infatti pienamente attendibile la dichiarazione della persona offesa dal reato nonché quelle rese dalla cugina e da una sua amica, “giacché, ciò che era emerso dagli atti era stato un atteggiamento persistente e subdolo nei confronti della donna, dettagliatamente esaminato nel provvedimento impugnato”.

Infine, per quanto riguarda la misura in concreto applicata all’indagato, ossia quella degli arresti domiciliari, il Collegio di Legittimità, tenendo conto anche della circostanza che l’indagato in passato era evaso dai domiciliari e aveva assunto, di tal guisa, un atteggiamento “trasgressivo ed inaffidabile”, riteneva pienamente congrua al caso in esame il vincolo cautelare personale all’indagato ed è per tale motivo che dichiarava manifestamente infondato il ricorso, condannando altresì il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avv. Aldo Antonio Montella
(Foro di Napoli)
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