Nel 2016 la Corte d’appello di Bologna, rovesciando l’esito della sentenza di primo grado assolveva, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, due dottoresse dall’accusa di colpa medica

Il processo era stato avviato a seguito del decesso di una paziente affetta da neoplasia. Secondo i congiunti della vittima le due imputate avevano omesso (per colpa) di effettuare gli accertamenti diagnostici richiesti dal quadro clinico.

Ma per i giudici della Corte distrettuale l’assunto accusatorio era infondato. Tuttavia nell’assolvere le imputate aveva omesso di revocare la condanna emessa dal primo giudice in relazione alle statuizioni civili.

Ed ecco che qualcosa non torna: come è possibile – si chiedono le ricorrenti- che una sentenza pienamente assolutoria mantenga invariate le statuizioni in ordine al risarcimento del danno alle parti offese?

La vicenda è giunta pertanto, dinanzi ai giudici della Cassazione che, oltre ad accogliere il ricorso difensivo hanno ripercorso le fasi delle recenti innovazioni legislative in materia di responsabilità medica.

La responsabilità medica dopo i recenti interventi normativi

Come noto il legislatore è intervenuto sul tema della responsabilità penale colposa in ambito sanitario con l’art. 3, comma 1 della legge 8 novembre 2012, n. 189 ove è stabilito: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.

La corte di Cassazione ha poi chiarito che tale norma esclude la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto a quelle condotte lesive che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica.

La novella ha così, dato luogo ad una “abolitio criminis” parziale degli artt. 589 e 590 c.p., avendo ristretto l’area del penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, giacché oggi vengono in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave.

Il tema della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria è stato, poi di recente oggetto di un nuovo intervento normativo.

Si tratta della legge 8 marzo 2017, n. 24 che ha introdotto l’art. 590-sexies. Quest’ultimo prevede che qualora l’evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.

In particolare, secondo diritto vivente, la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa dalle raccomandazioni previste dalle stesse (Sez. Unite, n. 8770/2017).

Ebbene la sentenza dei giudici dell’appello era corretta sotto il profilo dell’accertamento fattuale, trattandosi di una ipotesi di colpa lieve, quella commessa dalle due imputate.

Tuttavia, la decisione non poteva essere condivisa limitatamente alla conferma delle statuizioni civili. Ed in effetti, la Corte d’Appello di Bologna nel mandare assolte le imputate con la formula perché il fatto non costituisce reato, aveva erroneamente confermato le statuizioni civili che erano contenute nella prima sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Modena; statuizione travolte automaticamente dall’esito assolutorio del giudizio di secondo grado e che dunque dovevano essere necessariamente revocate.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

Leggi anche:

MORTA DOPO UN INTERVENTO A FIRENZE, SETTE MEDICI INDAGATI

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui