La Terza Sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30999 del 30.11.2018, ha statuito che per poter affermare la colpa medica bisogna sempre accertare i sintomi aspecifici e comuni
Nella specie, è stata confermata la colpa medica a carico del sanitario che pur comprendendo che il paziente avesse problemi neurologici, non intervenne tempestivamente ma rinviò i necessari accertamenti.
I fatti di causa
M.A. decede in seguito alle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale. La moglie (C.A.) ed i due figli minori (M.A. e G.) di M.A. convengono dinanzi al Tribunale di Nuoro Mu.Lu., F.R.M.N. e la AUSL di Nuoro, esponendo che il rispettivo marito e padre, M.A., ebbe uno svenimento e, su indicazione del medico curante, si rivolse al pronto soccorso dell’ospedale, dove venne visitato dalla dott.ssa F.R.M.N., la quale gli prescrisse unicamente una visita cardiologica ed il controllo della pressione sanguigna.
Cinque giorni dopo, sempre su indicazione del medico curante, a causa d’una preesistente cefalea M.A. torna nel medesimo ospedale, dove venne visitato dalla dott.ssa Mu.Lu., la quale anche in questo caso non prescrisse particolari accertamenti diagnostici, limitandosi a prescrivere l’assunzione di un farmaco.
M.A. viene colto da una emiparesi sinistra; questa volta, sempre in ospedale, viene sottoposto ad un esame TAC del cranio, che rivela la presenza d’un ematoma intracranico, dovuto alla rottura d’un aneurisma e sebbene il paziente, trasferito ad altra struttura, fosse stato ivi sottoposto ad intervento chirurgico di evacuazione dell’ematoma e di chiusura della lesione che l’aveva provocato decedeva a causa delle conseguenze del pregresso ematoma intracranico.;
Con sentenza 16.7.2007 n. 486 il Tribunale di prime cure rigettava la domanda e la sentenza viene appellata dai soccombenti.
Con sentenza 11.1.2016 n. 3 la Corte territoriale rigetta il gravame.
Le ragioni della decisione (disconoscimento della colpa medica)
La Corte territoriale ha escluso il nesso di causa tra l’intempestiva diagnosi di aneurisma e la morte del paziente sul presupposto che le possibilità di successo dell’intervento di clippaggio dell’aneurisma sarebbero state identiche, anche se l’intervento fosse stato compiuto subito dopo la prima visita all’ospedale.
I ricorrenti sostengono però che, se l’intervento di clippaggio dell’aneurisma fosse stato tempestivamente eseguito, la “rottura maggiore” dell’aneurisma non ci sarebbe stata, e non vi sarebbe stata l’emorragia subaracnoidea causa del danno cerebrale.
Questo “fatto” (formazione dell’ematoma), osservano gli Ermellini, effettivamente non è stato preso in considerazione dalla Corte d’appello, e presenta tutti i requisiti richiesti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (così come interpretato da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Gli accertamenti necessari
Secondo la Cassazione, infatti, in tanto può affermarsi che le possibilità di successo del medesimo intervento, eseguito sul medesimo paziente, non mutano sol perché eseguito due settimane prima o due settimane dopo, in quanto si assumano stazionarie le condizioni del paziente, vale a dire ceteris paribus.
Nel caso de quo, tuttavia, mancava il presupposto del ceteris paribus: a giugno l’aneurisma non era rotto, e non c’era l’ematoma; a luglio invece l’aneurisma s’era rotto, e si era formato l’ematoma.
La logica deduttiva induce la Suprema Corte a ritenere che se l’intervento fosse stato eseguito immediatamente, non vi sarebbe stata l’emorragia, la quale fu la causa del danno cerebrale e della morte.
Il fatto “formazione dell’ematoma”, pertanto, non considerato dalla Corte territoriale, era teoricamente idoneo a condurre una decisione differente da quella impugnata in punto di nesso di causalità, e, dunque, decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
La sentenza va dunque cassata con rinvio su questo punto e il giudice di rinvio dovrà esaminare l’appello proposto dagli odierni ricorrenti, accertando se un più tempestivo intervento di clippaggio dell’aneurisma, compiuto quando l’ematoma non si era ancora formato o comunque non aveva raggiunto le dimensioni di cm 4×2, avrebbe avuto ragionevoli probabilità di salvare la vita del paziente.
Con altro motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame d’un fatto decisivo e controverso.
La valutazione della diligenza esigibile dal medico per la valutazione della colpa medica
I ricorrenti infatti sostengono che la Corte d’appello avrebbe applicato una regola erronea per la valutazione della diligenza esigibile dal medico, esonerando da colpa un sanitario che, dinanzi a sintomi generici, non aveva compiuto alcuno sforzo per il loro corretto inquadramento.
La diligenza di cui all’art. 1176 c.c., è nozione che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa: è in colpa chi non è stato diligente, mentre chi tiene una condotta diligente non può essere ritenuto in colpa.
In particolare gli Ermellini si soffermano a considerare in cosa consiste la colpa civile che rappresenta la deviazione rispetto ad una regola di condotta che può essere non solo in una norma giuridica, ma anche in una regola di comune prudenza o nelle leggi dell’arte ed il cui accertamento va compiuto alla stregua dell’art. 1176 c.c. (ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17397 del 08/08/2007, Rv. 598610), che impone al debitore di adempiere la propria obbligazione con diligenza il cui parametro di valutazione non è uguale per tutti: nel caso di inadempimento di obbligazioni comuni, ovvero di danni causati nello svolgimento di attività non professionali, il primo comma dell’art. 1176 c.c. impone di assumere a parametro di valutazione della condotta del responsabile il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, il “cittadino medio”, ovvero il bonus paterfamilias: vale a dire la persona di normale avvedutezza, formazione e scolarità, nel caso, invece, di inadempimento di obbligazioni professionali, ovvero di danni causati nell’esercizio d’una attività “professionale” in senso ampio, il secondo comma dell’art. 1176 c.c., prescrive un criterio più rigoroso di accertamento della colpa poiché il “professionista”, infatti, è in colpa anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un ideale professionista “medio” (il c.d. homo eiusdem generis et condicionis).
L’ideale professionista medio
La Suprema Corte precisa che, nella propria giurisprudenza, l’ideale “professionista medio” di cui all’art. 1176 c.c. comma 2 non è un professionista “mediocre”, ma è un professionista “bravo”: ovvero serio, preparato, zelante, efficiente, quindi occorre chiedersi cosa avrebbe fatto il medico “diligente” ex art. 1176 c.c., vale a dire il medico bravo, dinanzi a sintomi aspecifici. La risposta al quesito è che di fronte a sintomi aspecifici, potenzialmente ascrivibili a malattie diverse o comunque di difficile interpretazione, il medico non può acquietarsi in una scettica epochè, sospendendo il giudizio ed attendendo il corso degli eventi, deve, al contrario, o formulare una serie di alternative ipotesi diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza; oppure almeno segnalare al paziente, nelle dovute forme richieste dall’equilibrio psicologico di quest’ultimo, tutti i possibili significati della sintomatologia rilevata.
Pertanto, il medico che, di fronte al persistere di sintomi od indici diagnostici dei quali non è agevole intuire l’eziogenesi, non solo non compia ogni sforzo per risalire, anche procedendo per tentativi, alla causa reale del sintomo, ma per di più taccia al paziente i significati di esso, tiene una condotta non conforme al precetto di cui all’art. 1176 c.c..
La sentenza (riconoscimento della colpa medica)
Nel caso de quo è stata la stessa Corte d’appello ad accertare in punto di fatto che il paziente “non presentava segni o sintomi che indicassero chiaramente un evento emorragico cerebrale“.
La Corte territoriale, dunque, ha accertato in fatto che il paziente presentava sintomi generici, ed escluso per ciò solo che il medico fosse in colpa per non averli correttamente inquadrati, incorrendo nel c.d. vizio di sussunzione della fattispecie: infatti proprio l’aver accertato in facto che i sintomi non erano chiari, e non deponevano chiaramente per l’esistenza di un aneurisma sanguinante, avrebbe dovuto condurre alla conclusione in iure che i sanitari furono negligenti, per aver scartato a priori anche questa ipotesi, senza previamente disporre alcun accertamento specialistico.
La Corte d’appello, nel far propria la valutazione in punto di diritto fatta dal c.t.u, ha anche richiamato la bibliografia citata dall’ausiliario, nella quale compare il contributo di Sakr, Ghosn e Vincent, Cardiac manifestations after subarachnoid hemorrhage: a systematic review of the literature, in Prog. Cardiovasc. Dis., 2002 Jul-Aug; 45(1), 67. Contributo nel quale si afferma l’esatto opposto di quanto sostenuto dal c.t.u. e condiviso dalla Corte d’appello, ovvero che “despite the considerable literature describing cardiac alterations during the course of subarachnoid hemorrhage (SAH), epidemiological (…) aspects are yet to be clarified. Further studies are needed to evaluate the magnitude of this problem“.
La sentenza impugnata, pertanto, va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, la quale nel riesaminare il gravame dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
Esiste colpa medica quando un sanitario, dinanzi a sintomi aspecifici, non prende scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, e senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tra le molteplici e non implausibili diagnosi.
Avv. Maria Teresa De Luca
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