Con sentenza del 7/10/2016, n. 20206, la terza sezione civile della Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sulla questione – che da anni è oggetto di approfondimento e di dibattito giurisprudenziale e dottrinario – relativa alle modalità di accertamento e di liquidazione del danno non patrimoniale a favore di un soggetto il quale risieda stabilmente all’estero.

Il punctum dolens concerne proprio la circostanza di fatto del luogo in cui verranno presumibilmente spesi  i denari ricevuti dal danneggiato a titolo di ristoro per il danno patito.

Secondo la tesi restrittiva, il soggetto vulnerato dall’occorso lesivo non dovrebbe pretendere (e non avrebbe diritto di ottenere) una somma equivalente a quella che spetterebbe a un individuo delle sue stesse condizioni anagrafiche e di genere, con le medesime lesioni, ma residente in Italia.

Il percorso logico argomentativo di una siffatta posizione è facilmente intuibile: se la persona risarcita spenderà il suo ‘tesoretto’ in un contesto dove la qualità della vita è inferiore rispetto alla nostra e dove il potere d’acquisto della somma ipoteticamente liquidata in euro è nettamente superiore a quello che la stessa cifra avrebbe laddove spesa nel Belpaese, ebbene – per un elementare principio di equità – quell’importo dovrebbe essere proporzionalmente e congruamente ridotto.

Nel caso di specie, il sinistro stradale giunto all’attenzione dei giudici di legittimità coinvolgeva due soggetti  trasportati in un veicolo (e deceduti in seguito a un grave incidente) i quali vivevano in Senegal. Lo stato africano era anche il luogo di abituale residenza dei prossimi congiunti che avevano incardinato l’azione civile risarcitoria.

Orbene, la sentenza in commento ha compiuto un rapido excursus dei precedenti giurisprudenziali in materia tra i quali vanno segnalati perlomeno i seguenti: 1) la pronuncia di Cass. Civ. n. 1637 del 14.02.2000 secondo la quale la monetizzazione del danno non patrimoniale deve tenere in debita considerazione anche la realtà socio economica di provenienza del danneggiato e il conseguente potere d’acquisto del denaro del paese originario della vittima; 2) la  sent. n. 7932 del 18.5.2012 con la quale  gli Ermellini hanno affermato che l’illecito aquiliano è composto da tre fattori fondamentali (la condotta illecita, il danno e il nesso di causa) mentre il luogo in cui il danneggiato risiede stabilmente – e dove, quindi, il medesimo spenderà le somme ottenute  – non deve in alcun modo influire sull’entità del risarcimento. Ciò in ossequio all’articolo 3 della ns. Costituzione e al fine di non discriminare gli  stranieri, come messo in luce e ribadito anche dalla successiva sentenza, sempre della terza sezione, n. 24201.

In buona sostanza, la Corte ha avuto modo di sottolineare come non si possa – pena la violazione dei fondamentali principi di uguaglianza sanciti dalla ns. carta costituzionale – penalizzare un individuo e la di lui intangibile umanità e dignità personale, solamente in ragione di sofistici distinguo di carattere grettamente economico o meramente geografico.

Va segnalato, infine, come a una medesima conclusione sia giunta la stessa sez. della Corte con sent. 12146 del 14.06.16 che si era applicata al caso di un ciclista ucraino investito da un autoveicolo. Nella fattispecie, i giudici di legittimità  hanno censurato la pronuncia  di una Corte d’Appello ‘rea’ di aver parametrato il danno in ragione della situazione socio-economica del paese di appartenenza della vittima.

I giudici di legittimità, anche in questo caso, hanno fatto giustizia di tale tesi in conformità a quanto sancito persino dalla Corte Europea con pronuncia del 10.12.15 n. C 350-14.

Con il richiamata arresto  la Corte aveva precisato che deve intendersi alla stregua di ‘luogo in cui il danno si verifica’ il paese dove è stata subita la lesione alla sfera personale e non quello dove poi verranno spesi i soldi a titolo di risarcimento.

Non possiamo che salutare con soddisfazione le surrichiamate pronunce  tese a valorizzare il contenuto non patrimoniale, ma  umanissimo di una vicenda dolorosa quale deve considerarsi qualsiasi evento ‘avverso’. Tanto piu’ in un periodo storico in cui, per contro, dominano incontrastati i criteri della mercificazione dell’individuo e della patrimonializzazione di qualsiasi dimensione (anche non patrimoniale) dell’essere.

 Avv. Francesco Carraro

(Foro di Padova)

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