I figli so’ piezz’e core: qualificazione del danno biologico riflesso permanente. In giudizio, con la sentenza 15.2.2019 n. 4617 qui in commento, la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico alla madre di un giovane infortunato – con esiti invalidanti valutati pari al 50% – e con la stessa convivente

Si è confermata nuovamente la rilevanza – in termini risarcitori – delle ansie e delle preoccupazioni gli sbalzi d’umore e le difficoltà caratteriali del giovane infortunato, tensioni ed ansie che si scaricano sulla madre tanto per la vicinanza ambientale data dalla convivenza che per il particolare legame esistente fra i due, nonché le ‘preoccupazioni e delusioni subite dalla stessa madre per le difficoltà del figlio connesse all’infortunio. La sentenza in commento in realtà rigetta l’impugnativa, delle parti private, volta ad una maggiore quantificazione del danno biologico riflesso – qualificato come permanente, già liquidato nelle fasi di merito.

Si tratta di una tipologia di danno che è possibile qualificare come danno parentale.

Quest’ultimo è legato intimamente al tema delle plurioffensività dell’illecito civile, che permette la risarcibilità del pregiudizio non solo nell’ambito del rapporto autore/vittima, ma anche nei confronti del terzo che subisce la violazione di un interesse di rilevanza costituzionale, quale può essere quello alla integrità delle relazioni familiari e più in generale quello alla conservazione di un legame di solidarietà che si fonda su un rapporto di convivenza, caratterizzato da una comunione di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, stabile e duratura.
Il danno parentale è quindi la lesione subita dai congiunti per le sofferenze patite a causa dell’evento tutelato e, generalmente, si tratta di un danno riconoscibile iure proprio e per questo si auspica – da parte della dottrina e della giurisprudenza prevalenti – una maggiore attenzione alla prova del legame affettivo, in assenza di convivenza, prova che dovrebbe riguardare aspetti prettamente concreti atti a fornire base provante al legame affettivo asseritamente esistente.

Convivenza: è presupposto del danno?

La convivenza infatti non è un presupposto del danno ma, laddove sussista, può costituire indizio e parametro ai fini tanto dell’an che del quantum debeatur.
Nel caso di specie argomenta la Corte che non si può giungere ad ampliare l’importo stabilito dalla Corte di Appello (ovvero il danno biologico riflesso permanente) non per la sua inesistenza, quanto per una sostanziale mancanza di allegazione e prova circa altri elementi di danno che si volevano far considerare (eventuali impegni quotidiani della madre, attività assistenziale successiva ai ricoveri ospedalieri, dinamiche familiari pre e post evento e le difficoltà caratteriali dell’infortunato).
Ciò che si paventa da parte di certa dottrina – aprendo ad ipotesi di risarcimenti senza prove – è un sostanziale abuso dell’istituto, tanto più in una situazione in cui la platea dei potenziali aventi diritto si sta progressivamente ampliando in corrispondenza del generale riconoscimento di diritti civili di convivenza, senza particolari formalità.
In generale i presupposti per la risarcibilità del danno non patrimoniale riflesso trovano base legale in una applicazione non restrittiva dell’art. 1223 c.c., che costituisce la norma base del criterio utilizzato per valutare la risarcibilità del danno non patrimoniale.
Su tale base si considerano ristorabili, non solo gli effetti lesivi, che costituiscono la immediata e diretta del danno ma, anche, quelli che risultano essere l conseguenza normale di un determinato antecedente causale, secondo il celebre brocardo “id quod plerumque accidit”.

La qualificazione del danno biologico riflesso

Si è dunque da un lato abbandonata l‘interpretazione restrittiva del sopra menzionato articolo, aprendo ad una più ampia sfera di interessi risarcibili, precisando dall’altro lato quali siano i requisiti indispensabili per ottenere il risarcimento, e nello specifico:
1.         L’esistenza di una relazione con la vittima diretta del fatto illecito, sia essa fondata su un vincolo familiare, riconosciuto come tale dalla legge [ndr. famiglia fondata sul matrimonio], ovvero su una situazioni di fatto qualificata, come, per esempio, la convivenza more uxorio;
2.         L’apprezzabilità della lesione in virtù dell’effettivo rapporto esistente con la vittima e l’incidenza concreta sullo svolgimento della relazione.
Dunque, per la risarcibilità del danno c.d. “da rimbalzo”, si tende ad escludere ogni automatismo derivante dal mero rapporto parentale, nel chiaro intento di scoraggiare il proliferare di infondate pretese risarcitorie azionate in forza del mero lontano grado di parentela, senza che alcuna effettiva lesione si sia prodotta nella sfera giuridica del parente della vittima.  Nella fattispecie concreta che ha originato le presenti righe il criterio di liquidazione dovrebbe duplicarsi, trattandosi di persone conviventi legate dal vincolo madre-figlio ma l’assenza di prova circa voci di danno specifiche, non consente secondo la Corte di Cassazione, di superare la liquidazione equitativa già operata considerata esaustiva dell’intero danno patrimoniale subito iure proprio in qualità di congiunto, sebbene la gravità delle lesioni patite ed il rapporto di parentela non potevano non essere considerati elementi dai quali desumere la circostanza che la madre della vittima si mise in allarme per la salute del figlio.
Ogni altro danno – nello specifico la lesione del rapporto madre figlio – non è risarcibile perché sfornito di prova.

Avv. Silvia Assennato

 
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