In Italia passa la norma che consentirà la diffusione di dati sanitari alle multinazionali senza consenso a scopo di ricerca scientifica

È comparsa a sorpresa nella legge europea 2017, pubblicata il 28 novembre in G.U., la norma che permette di diffondere dati sanitari alle multinazionali senza consenso. Lo scopo è la ricerca scientifica, ma sono in tanti a storcere il naso, anche perché in gioco ci sono grossi interessi delle multinazionali tecnologiche.
Con questa decisione, saranno trasmessi i nostri dati sanitari alle multinazionali senza consenso, sebbene a scopia scientifici o statistici.

Il tutto è stato autorizzato, a sorpresa, da due articoli comparsi nella “legge europea 2017”, la 167, con cui l’Italia recepisce obblighi comunitari.

Si tratta, dunque, di un implicito via libera dell’Italia a un dossier che aveva suscitato grosse polemiche e lo stop del Garante della Privacy. Vale a dire l’accordo tra il Governo Renzi e l’Ibm per l’uso dei dati sanitari italiani – a partire da quelli della Lombardia – in cambio dell’apertura a Milano del suo centro Watson Health.
Ibm, come tutte le multinazionali tecnologiche, ha bisogno dei dati dei cittadini per alimentare i propri sistemi di intelligenza artificiale, rendendoli più competitivi in quello che tutti gli esperti considerano il business del futuro.

Tuttavia questo pone un problema di privacy non indifferente, oltre a muovere un giro d’affari spaventoso.

Secondo le stime, sono almeno 4 miliardi di dollari quelli previsti nel 2017 solo per i big data nella Sanità, e per Sns Research ci sarà una crescita del 15% annuo fino al 2030.
La legge appena passata che permetterà di trasmettere i nostri dati sanitari alle multinazionali senza consenso, anticipa il regolamento europeo (Gdpr) che entra in vigore a maggio 2018. Ma ciò avviene con una permissività che preoccupa gli esperti.
Secondo Francesco Pizzetti, ex garante della privacy e docente ordinario di Diritto Costituzionale pressol’Università di Torino “tra qualche giorno sarà possibile dare, per scopi di ricerca scientifica o statistici, tutti i dati degli italiani, con la sola tutela di un’autorizzazione da parte del Garante Privacy prevista in modo troppo generico dalla norma”.
E non è tutto.

“La norma – prosegue Pizzetti – non prevede infatti il diritto dell’utente a essere informato né ad accedere a questi dati. Vincola l’autorizzazione del Garante solo al fatto che i dati siano anonimizzati e che sia rispettato il principio di minimizzazione dell’utilizzo. Ossia che siano usati solo quelli che servono per quella ricerca scientifica”.

A creare perplessità è anche l’anonimizzazione. La norma, infatti, non chiarisce affatto se sia lo Stato a dover anonimizzare i dati o lo possa fare anche un soggetto privato.
Nel secondo caso, significa che l’azienda destinataria avrebbe comunque accesso ai nostri dati in chiaro. Nel primo, occorrerà capire se lo Stato sia in grado di reclutare competenze sufficienti per anonimizzare bene i dati.
Se così non fosse, i nostri dati sanitari sarebbero a rischio, e potrebbero anche finire nelle mani di cyber criminali o di aziende di assicurazione.
Insomma, la questione è molto complessa, perché se da un lato l’intelligenza artificiale fa avanzare la medicina, dall’altro è importante tutelare i soggetti privati.
La sfida oggi deve essere tutelare sia il diritto alla salute del cittadino che quello alla sua privacy.
Un difficile equilibrio dal quale, comunque, non è possibile prescindere.
 
 
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