In vigore da ormai una settimana, il Decreto appropriatezza solleva ancora preoccupazioni nei medici. E mentre alcune Regioni avanzano perplessità sulla sua possibile applicazione, ecco la posizione della Federazione italiana medici di Famiglia
È ancora bufera sul Decreto appropriatezza entrato il vigore lo scorso 25 gennaio dopo essere stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. In particolare, ora, sarebbero alcune Regioni come la Toscana o il Veneto a mettere in dubbio le modalità applicative, sospendendo l’attuazione.
La decisione ha incontrato il favore della Fimmg. La federazione dei medici di famiglia, infatti, ha osservato come, a un approfondimento più dettagliato, il testo, «sta dimostrando evidenti errori formali e di logica nella definizione delle prestazioni erogabili dal SSN. Questi errori lo rendono di fatto inapplicabile nella sua interezza, indipendentemente dal chiarimento sulle modalità applicative». A spiegarlo è il segretario nazionale Giacomo Milillo.
Ma non è la sola voce che si è levata all’interno dell’associazione. Anche il vice segretario nazionale, Pier Luigi Bartoletti, su Bussola Sanità ha così spiegato la posizione della categoria: «Al di là del merito, che in linea teorica è condivisibile ovvero indicare la ‘giustezza’ della prescrizione di alcuni esami e limitarne l’utilizzo inappropriato, si cade, come spesso avviene, nell’errore di formulare norme giuste ma difficilmente applicabili nel vivere quotidiano delle persone e degli operatori che lavorano direttamente a contatto con i pazienti, senza filtri amministrativi, senza strutture di contorno di accoglienza e prenotazione, ovvero i medici di famiglia ed i pediatri di libera scelta».
«L’inapplicabilità sostanziale di norme, pur giuste nel principio, ma formulate con criteri scientifici condite da bizantinismo burocratico determina spesso disservizi, incomprensioni, litigi e ne vanifica l’obiettivo» chiarisce Bartoletti, che poi aggiunge: «Se l’obiettivo è adeguare il sistema sanitario pubblico utilizzando la professionalità degli operatori che ci lavorano, non è che aiuti molto calare dal Palazzo un elenco di prestazioni e una serie di note, codicilli, codici e condizioni di erogabilità da inzeppare in una ricetta de-materializzata che a oggi non prevede tale modalità di compilazione e quindi obbliga a scrivere a mano, in barba a tutte le regole della de materializzazione. Anzi assume il sapore di una presa per i fondelli».
Il vice segretario di Fimmg entra anche meglio nello specifico, facendo un esempio pratico che chiarisce la sua posizione: «Se vincolare la prescrizione di alcune tipologie di esami a chi ne ha la particolare competenza, cioè lo specialista, può essere in principio corretto, lo è meno quando per andare da quello specialista pubblico devo aspettare sei mesi, e così se ho un’allergia ai pollini primaverili mi continuo a soffiare il naso e sarò valutato in autunno quando sto bene. Se in questo Paese si tornasse a ragionare in modo normale, forse si tornerebbe ad accoppiare alla competenza tecnico-scientifica e alle revisioni internazionali di letteratura, la sensibilità di chi tutti i giorni fa i conti con un sistema farraginoso e complicato. Invece no, si pontifica senza avere cognizione di causa».
Ma quali saranno le conseguenze pratiche del Decreto appropriatezza? Il quadro prospettato da Bartoletti parla chiaro: «Negli ultimi 6 mesi tra dematerializzazione della ricetta e decreto appropriatezza si sta creando negli studi confusione, sconcerto, e sta crescendo sempre più la rassegnazione di vedere un sistema pubblico un tempo fiore all’occhiello, sempre più seccarsi a vantaggio della cosiddetta spesa di tasca propria (out of pocket). Si sentono ovunque pubblicità di mutue private, fondi integrativi, società di mutuo soccorso, e ciò che prima era un vezzo dei ricchi ora diventa una necessità del ceto medio.
L’odontoiatria nel decreto fa da apripista a un sistema pubblico riservato all’urgenza e ai disagiati sociali ed economici, il taglio del resto delle prestazioni è solo l’inizio di un processo di ridefinizione dei LEA che non ci aspettiamo certo che siano maggiori rispetto ad oggi. Ma, se l’obiettivo numero 1 è calare la tassazione, si può fare qualcosa di meglio piuttosto che proporre uno “spezzatino” con firma di grandi “chef”? Che il Paese invecchi lo si sa da 20 anni, che si viva di più anche, che i bisogni siano mutati pure, ma noi negli ultimi 20 anni abbiamo fatto lo spezzatino anche del sistema pubblico, non regolamentando il federalismo regionale».