La Corte d’Appello di Ancona, nella sentenza in commento (sent. n. 1280/2019), ha annullato il provvedimento prefettizio di revoca della patente disposto a carico di un imputato condannato per detenzione di sostanza stupefacente

A seguito della condanna alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 2.000 di multa, per il delitto di detenzione, ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, gli veniva revocata la patente di guida senza alcuna preventiva comunicazione.

L’opponente deduceva l’illegittimità di detto provvedimento per violazione dell’obbligo di comunicazione, da parte dell’ufficio della prefettura territorialmente competente, dell’avvio del procedimento e della mancanza di adeguata motivazione non essendo stati indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano determinato la decisione dell’amministrazione.

Chiedeva, pertanto, l’annullamento del provvedimento in esame.

La Prefettura si era costituita in giudizio rilevando che la norma non attribuiva alcuna discrezionalità all’amministrazione in ordine alla revoca della patente conseguente alla condanna per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, poiché tale provvedimento doveva essere qualificato come atto dovuto, risultando del tutto irrilevante, per tale profilo, l’evoluzione della normativa penale, prevista dal medesimo art. 73.

In primo grado, il tribunale adito respingeva il ricorso confermando l’assunto della convenuta.

La sentenza veniva così impugnata dinanzi ai giudici della Corte d’Appello di Ancona.

Punto di partenza è il disposto dell’art. 120 del Cds secondo il quale non possono conseguire la patente di guida (…) le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 ( Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza ); e, fatto salvo il caso di provvedimento di riabilitazione, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida (…)”.

Ebbene nel caso in esame, non vi erano dubbi circa l’applicazione della suddetta norma, risultando pacifica la presenza di una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, elemento ostativo al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida.

Si imponeva, pertanto, l’adozione di un provvedimento di revoca da parte dell’Amministrazione, sufficientemente motivato con il richiamo alla sentenza di condanna, in presenza della quale la revoca costituiva atto dovuto, come evidenziato nella parte motiva del medesimo decreto.

In tale contesto, però, i giudici della Corte territoriale non mancano di richiamare la recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 22/2018 del 22.01.2018) che ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 120 citato, così come risultante dalla modifica intervenuta nel 2009, nella parte in cui, con riguardo alle ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/90 che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida, dispone che il prefetto “provvede”,( invece che “può provvedere”) alla revoca della patente.

La norma sarebbe contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza

In particolare, secondo la Corte Costituzionale, la violazione del principio di proporzionalità risiederebbe nell’art. 120 comma 2, C.d.S. laddove la norma ricollega in via automatica il medesimo effetto – la revoca del titolo di guida – alla sopravvenienza di una condanna penale per i reati di cui agli artt. 73 e 74 T.U. sugli stupefacenti, posto che tali disposizioni, comprendono una varietà di fattispecie; potendo cioè, riguardare reati di diversa natura ed entità.

La revoca della patente non è una sanzione penale

Nella stessa occasione, i giudici della Consulta hanno avuto premura di escludere in radice la qualifica di “sanzione penale” del provvedimento prefettizio affermando che “la revoca della patente, nei casi previsti dall’articolo 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell’insussistenza (sopravvenuta) dei “requisiti morali” prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione“.

L’irragionevolezza della norma, invece, starebbe nel fatto che l’applicazione automatica della revoca della patente di guida prescinde da qualsiasi valutazione delle circostanze del caso concreto e, soprattutto, dall’eventuale distanza temporale del provvedimento del prefetto rispetto ai fatti ai quali si riferisce la sentenza di condanna per i reati in tema di stupefacenti: “la disposizione denunciata – affermano i giudici della Corte costituzionale – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità , atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida “.

È alla luce di tali considerazioni che la Corte d’Appello di Ancona ha dichiarato che il decreto prefettizio di revoca della patente, essendo espressamente qualificato quale “atto amministrativo ad emanazione dovuta e a contenuto vincolato ” doveva essere annullato, dal momento che la predetta autorità emanante aveva omesso qualsiasi valutazione della fattispecie concreta.

La redazione giuridica

 

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