Distocia di spalla precedente: se il paziente non lo riferisce ai medici nella raccolta anamnestica non esiste colpa e, quindi, il risarcimento.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1383 del 3 luglio 2017, pronunciandosi in tema di responsabilità medica (distocia di spalla), ha stabilito che non sussiste la responsabilità del sanitario se il paziente omette delle informazioni sulle sue condizioni psico-fisiche, nel caso in cui le stesse non siano facilmente accertabili.

I fatti di causa.

F.F. e L.B.L., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore F.S, convenivano in giudizio, avanti il Tribunale di Padova, l’Azienda U.A. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, imputando ai sanitari dell’Ospedale di Cittadella una responsabilità per la distocia di spalla che colpiva il figlio S., nato a seguito di travaglio di parto spontaneo.

Assumevano i genitori che S. era affetto da una limitazione funzionale della spalla destra e da ipoinvalidità dell’arto superiore destro e che tale condizione era da addebitare al non corretto comportamento dei sanitari, che, nonostante i problemi di distocia che aveva avuto anche la loro primogenita, e l’elevato rischio di recidiva, non avevano effettuato una ecografia per poter, poi, consigliare alla madre il parto con taglio cesareo. Censuravano, inoltre, la mancata effettuazione di tutta una serie di manovre consigliate per risolvere nel modo migliore la distocia.

L’Azienda Ospedaliera si costituiva eccependo la carenza di legittimazione attiva di F.F. e chiedeva il rigetto della domanda; in via subordinata, chiedeva contenersi la condanna nei limiti del grado di responsabilità accertato.

Il Tribunale di Padova rigettava la domanda attorea e proponevano appello F.F. e L.B.L., chiedendo, in via istruttoria, la rinnovazione della c.t.u. medico-legale; nel merito, come in primo grado, dichiararsi che il fatto era avvenuto per colpa dei sanitari del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda U..

Si costituiva l’Azienda U.A. chiedendo dichiararsi il difetto di legittimazione attiva di F.F., confermarsi la sentenza impugnata e rigettarsi l’appello.

Ma cos’è la distocia?

E’ una complicazione improvvisa del parto di un feto in presentazione cefalica, caratterizzata dalla mancata espulsione delle spalle dopo la fuoriuscita della testa. In parole semplici si verifica quando la testa fetale è già disimpegnata e le spalle sono fisse e non possono disimpegnarsi.

La distocia delle spalle e la conseguente sequela di danni neonatali (asfissia, compressione del plesso branchiale), si colloca come la seconda causa in ordine di frequenza tra i contenziosi medico-legali per responsabilità professionale del medico e dell’ostetrica nell’assistenza al parto.

Pur essendo la distocia di spalla un evento imprevedibile e quindi inevitabile, la conoscenza dei fattori di rischio e del protocollo terapeutico delle manovre ostetriche possibili, può costituire la migliore garanzia per un trattamento appropriato di questa complicazione della nascita, per la prevenzione e la riduzione delle sue conseguenze.

In un articolo dell’American Journal Obstetrics e Gynecologist del giugno 2005, si ribadisce che non esistono fattori di rischio realisticamente predittivi.

Nel 50% dei casi si verifica in assenza di fattori predisponenti e una precedente distocia comporta il 4% di possibilità che la complicazione si ripresenti con un nuovo parto.

La decisione della Corte d’Appello.

La Corte territoriale rileva che con il primo motivo gli appellanti contestano la sentenza impugnata laddove ha escluso la responsabilità dei sanitari dell’Ospedale di Cittadella, dal momento che, un costante orientamento giurisprudenziale, ritiene, una volta iniziato il rapporto curativo, che la ricerca della situazione realmente esistente in capo al paziente è affidata al sanitario, che non deve basarsi solo sulla dichiarazione resa in anamnesi dal paziente.

Un comportamento diverso integra una palese mancanza di diligenza.

I genitori del bimbo sostengono, inoltre, che la c.t.u. era erronea in quanto riteneva che nella condotta ostetrica dell’estrazione del feto erano state eseguite manovre corrette, tesi smentita, invece, dai consulenti di parte.

Per ciò che riguarda il primo aspetto, la Corte territoriale osserva che se è vero che la giurisprudenza di legittimità, ritiene (in particolare, Cass. 20904/13),  che “una volta iniziato il rapporto curativo, la ricerca della situazione effettivamente esistente in capo al paziente, almeno per quanto attiene alle evidenze del suo stato psico-fisico, è affidata interamente al sanitario, che deve condurla in piena autonomia anche rispetto alla dichiarazioni rese dal paziente in sede di anamnesi, integrando un diverso operare una palese mancanza di diligenza“, altrettanto certo è che tale sentenza-cardine prosegue nei seguenti termini: “ne consegue che l’incompletezza o reticenza delle informazioni fornite dall’interessato sulle proprie condizioni psico-fisiche, ove esse siano accertabili“, comporta responsabilità.

E proprio quest’ultimo è il punto nodale della decisione della Corte, ossia che le condizioni del paziente devono essere accertabili, ossia deve sussistere un motivo che giustifichi e renda necessario porre in essere taluni esami piuttosto che altri.

Ciò significa che nel caso in cui il paziente nulla dica, come è accaduto nel caso de quo, circa le complicanze del precedente parto e nulla risulti dalla cartella clinica del ginecologo che aveva seguito la gravidanza della L.B.,  è evidente che i sanitari operanti all’interno del nosocomio di Cittadella non avrebbero potuto richiedere ulteriori accertamenti, anche in virtù di tutta la possibile gamma di verifiche mediche in relazione alle infinite problematiche che possono, in astratto, essere connesse a un parto.

Le linee guida e il parto naturale

Attualmente, le linee guida favoriscono il parto naturale nel caso in cui non vi siano controindicazioni e, nell’ipotesi de qua, nessuna problematica veniva neppure vagamente sottintesa o ventilata.

Da tanto discende la scelta dei sanitari per il parto naturale.

Per ciò che attiene poi la contestazione relativa alle risultanze della CTU la Corte ha rilevato che i consulenti accertavano, esaminate le cartelle cliniche ospedaliere, estremamente complete ed esaustive, che il parto avveniva seguendo il protocollo per la distocia di spalla elaborato nel 1991 dall’American College of Obstetrician and Gynecologist e che la procedura adottata era stata corretta, le manovre utilizzate giuste, con pronta assistenza dell’anestesista e, successivamente, del pediatra.

Concludevano, pertanto, i Ctu nel senso che la condotta dei sanitari di Cittadella non era suscettibile di censura alcuna, aggiungendo, tra l’altro, che si trattava di “attività di particolare difficoltà”, con le note conseguenze giuridiche in tema di responsabilità professionale, che, peraltro, nel caso in esame, neppure vanno applicate, data l’assenza di colpa professionale in capo ai medici ospedalieri.

La mancata informativa alla paziente

Il secondo e ultimo motivo di appello concerne l’assunta mancata informativa della L.B. in merito al parto, in modo da mettere la paziente in condizioni sapere tutto sulla prestazione sanitaria che avrebbe ricevuto e di scegliere eventuali diverse opzioni.

Per la Corte le considerazioni esposte in tema di responsabilità valgono anche in questo caso, poiché non essendo stati i medici di Cittadella informati in alcun modo della circostanza di un precedente parto distocico, né dal ginecologo curante, né dalla paziente, non erano in grado di ipotizzare, neanche in termini probabilistici, che vi fosse un pericolo di distocia di spalla tra le molteplici problematiche che possono essere connesse al parto, pericolo peraltro mai da nessuno citato.

La Corte d’appello di Venezia, rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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