Respinto il ricorso di una donna, danneggiata da due interventi oculistici, che chiedeva di essere risarcita per l’inadempimento del dovere di informare il paziente da parte del medico

La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti, nonché un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale (ed, in quest’ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute; con specifico riferimento all’ipotesi di intervento eseguito correttamente, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, se compiutamente informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento.

Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 12593/2021 pronunciandosi sul ricorso di una paziente che aveva convenuto in giudizio un oculista e la struttura sanitaria in cui quest’ultimo operava per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti a due interventi agli occhi – consistiti nel posizionamento di lenti intraoculari (IL) – che avevano determinato, negli anni, la cecità dell’occhio sinistro e il rischio di cecità dell’occhio destro.

Il Tribunale, espletata c.t.u. medico-legale, aveva rigettato la domanda e la decisione era stata confermata anche dalla Corte di Appello.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, la “nullità della sentenza per error in procedendo in relazione all’art. 183, comma 6 c.p.c. per avere ritenuto inammissibile perché nuova, ovvero non autonoma, la domanda di risarcimento del danno per omesso consenso informato”; la paziente, in particolare, censurava il passaggio della sentenza impugnata secondo cui il motivo di appello proposto in relazione alla contestazione di inadempimento per mancata corretta informazione doveva essere rigettato per omessa allegazione “del fatto che il rischio di andare incontro a complicanze di cui lamenta l’omessa informazione l’avrebbe indotta a scelte differenti”.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno evidenziato come il Giudice a quo avesse correttamente ritenuto di non poter esaminare la domanda di risarcimento del danno alla salute correlato alla deduzione dell’omessa informazione in mancanza dell’allegazione (prima ancora che della prova) che l’informazione sulle complicanze avrebbe indotto la ricorrente a non sottoporsi all’intervento; né tale rilievo risultava superato -in fatto- dai passaggi degli atti processuali trascritti in ricorso, dai quali non emergeva che vi fosse stata una allegazione tempestiva della diversa scelta che la ricorrente avrebbe effettuato.

La redazione giuridica

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