Il nesso causale tra il decesso e un grave trauma della strada sussiste anche quando si accerta un errore medico nella successiva cura, ma solo se…

Il nesso causale tra il decesso e un grave trauma della strada sussiste anche quando si accerta un errore medico nella successiva cura se la morte era preventivabile per la gravità delle lesioni subite dal paziente.
Lo ha stabilito la IV Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 28010 depositata il 6 giugno 2017.

I fatti.

La Corte territoriale di Lecce confermava la decisione del giudice di prime cure che aveva condannato una donna per omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale (art. 589, comma 2, cod. pen.) a lei contestato, per aver eseguito una manovra caratterizzata da imprudenza, negligenza imperizia, nonché da violazione dell’art. 145, comma 2, del Codice della Strada.
L’imputata, con il ricorso in Cassazione, lamentava, violazione di legge, con particolare riferimento alla mancata esclusione del nesso di causalità fra condotta ed evento mortale.
In particolare riferiva come i giudici di merito non avessero ravvisato la portata interruttiva, sotto il profilo eziologico, delle condotte imperite e negligenti dei sanitari, che a oltre due mesi di distanza dall’incidente, avevano integrato una causa sopravvenuta di per sé idonea a interrompere il nesso di causalità fra la condotta addebitata all’imputata e la morte del motociclista.

Ma quando si interrompe il nesso causale?

Osservano Gli Ermellini che secondo il costante indirizzo espresso in materia dalla stessa Corte, “l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito: ciò in quanto l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale” (cfr. Cass., Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838).
Infatti, l’interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento può configurarsi solo quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo, incommensurabile e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (da ultimo vds. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 15493 del 10/03/2016, Pietramala e altri, Rv. 266786; Sez. 4, Sentenza n. 3312 del 02/12/2016, dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001).
Nel caso in esame, invece, non può affermarsi tanto in virtù del fatto che l’eventuale comportamento negligente di un terzo soggetto trova la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (cfr. in linea di principio Sez. 4, Sentenza n. 18800 del 13/04/2016, Bonanni, Rv. 267255).
 
Inoltre, la ricorrente si limita a richiamare, quale elemento deponente per il sopravvenire di un fattore eziologico avente portata interruttiva, quanto sostenuto dall’anatomopatologo che eseguì l’autopsia, secondo il quale il fatto che venne praticata al motociclista una puntura esplorativa toracica avrebbe avuto rilevanza ‘primaria’ nel prodursi dell’evento mortale.
Tuttavia, da un lato, ciò non consentirebbe comunque di affermare che tale condotta terapeutica si sarebbe collocata quale causa sopravvenuta introduttiva di un rischio eccentrico ed avulso da quello originariamente introdotto dalla condotta colposa della ricorrente, piuttosto che come eventuale concausa dell’evento. E dall’altro lato, la Corte Territoriale ha motivato con accuratezza la propria adesione, sul punto, alle conclusioni degli altri periti e dei consulenti del Pubblico ministero, che hanno escluso che la condotta terapeutica censurata dalla ricorrente abbia avuto rilevanza nel decorso causale che condusse alla morte del motociclista.
Gli Ermellini ritengono, congrua e logicamente ineccepibile, e pertanto insindacabile in sede di legittimità, la motivazione resa dalla Corte d’Appello di Lecce secondo la quale la causazione del decesso del motociclista ad opera della condotta alla guida della ricorrente non risulta esclusa da fattori sopravvenuti.
La Corte richiama alcuni principi affermati dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

Il principio del libero convincimento.

In primis ribadisce che, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, anche in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, “purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità” (cfr. Cass., Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435).
I Supremi giudici evidenziano come la sentenza impugnata, a maggior ragione se letta congiuntamente a quella di primo grado, trattandosi nella specie di ‘doppia conforme’, offra ampia ed argomentata contezza del convincimento della Corte d’appello per ciò che attiene la ricostruzione in fatto operata attraverso gli apporti dei consulenti, prendendo in esame le diverse ricostruzioni e valutandone criticamente il percorso argomentativo.

La rinnovazione della perizia in appello.

Osserva, in secondo luogo, la Corte di Cassazione, che è ius receptum che, nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (cfr. Cass., Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013 – dep. 06/09/2013, Bommarito, Rv. 257062: nella citata sentenza la Suprema Corte ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto).
Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Da ultimo la Suprema Corte osserva che il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per “valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (ex multis cfr. Cass., Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579).

La decisione.

Secondo gli Ermellini, nel caso de quo, la ricostruzione logico-fattuale ricavabile dalla sentenza impugnata consente, con un percorso logico-argomentativo del tutto adeguato, che deriva dall’accurata disamina delle emergenze probatorie, di escludere che vi siano le condizioni per una rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale nei termini e secondo le modalità prospettati dalla ricorrente, ragion per cui la conducente del veicolo deve essere condannata per il reato di omicidio stradale.
 

Avv. Maria Teresa De Luca

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