Una ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito dei chiarimenti sull’aumento dell’assegno di mantenimento se la ex moglie si licenzia

Se la ex moglie si licenzia, può spettarle un aumento dell’assegno di mantenimento? Con l’ordinanza n. 3015/2018 la Cassazione si è espressa a riguardo fornendo degli importanti chiarimenti.

Per la Cassazione l’assegno alla ex spetta solo se questa non è in grado di svolgere un’esistenza autonoma e dignitosa. Pertanto, non possono pesare sull’assegno divorzile le libere scelte di vita dell’ex coniuge che, senza alcuna costrizione, decide di rinunciare alla carriera, accettare un lavoro part-time e poi licenziarsi.

Insomma, se la ex moglie si licenzia, non può sperare in un aumento del proprio assegno di mantenimento.

Non solo. La Corte ribadisce come il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non è più un parametro di riferimento, dopo la sentenza n. 11504/2017.

E questo sia nella fase dell’an che del quantum debeatur, essendo rimasto il solo discrimine del raggiungimento o meno dell’autosufficienza economica.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione, VI sezione civile, ha rigettato la domanda di una donna volta a ottenere una maggiorazione dell’assegno divorzile dovutole dall’ex marito a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In sede di merito la donna aveva chiesto che l’assegno venisse portato da 800 a 3.800 euro o, addirittura, ove non le fosse assegnata la casa coniugale, a 5.800 euro.

Il giudice a quo ha deciso di non assegnarle la casa coniugale posto che l’unico figlio della coppia era maggiorenne e dimorava presso il padre.

Oltre a questo, ha respinto la richiesta di aumento dell’assegno. Questo perché la ricorrente era proprietaria di un appartamento da cui percepiva un canone locazione. Possedeva inoltre un terreno, e beneficiaria di reddito attività lavorativa svolta in una società.

La Corte di Cassazione condivide il decisum della Corte territoriale. Inoltre, ha evidenziato come quest’ultima avesse confermato l’originario importo tenendo conto della breve durata della convivenza matrimoniale (circa sei anni).

Ancora, si era tenuto conto delle condizioni personali ed economiche della ex, abilitata all’esercizio della professione forense e proprietaria di immobili.

Il giudice a quo ha poi riferito in ordine alle libere scelte di vita della donna di rinunciare a una carriera promettente, di accettare posto lavoro part-time fino poi a dimettersi dal lavoro all’età di 46 anni. Il tutto senza che vi fosse prova di alcuna costrizione al riguardo, né di tentativi di riprendere l’attività lavorativa.

La conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, richiamata dalla ricorrente, non rappresenta più, spiega il Collegio, un parametro di riferimento utilizzabile.

E questo né ai fini del giudizio sull’an debeatur, né di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione è finalizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza economica.

A giustificare l’attribuzione dell’assegno non è infatti, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente. È invece l’indipendenza o autosufficienza economica, a giustificarlo.

Quest’ultimo parametro deve essere apprezzato con elasticità e in considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno come persona singola, e non come ex coniuge, pur sempre inserita in un determinato contesto sociale.

 

 

 

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