“Carenza educativa, totale assenza di senso critico, di capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui”…ossia il cyberbullismo

Sono le parole che il Tribunale di Sulmona adopera in una recente sentenza (9 aprile 2018 n. 103) per definire l’atteggiamento ( il cyberbullismo ) di un branco di ragazzi che, non molto tempo fa, scambiava e diffondeva immagini di una propria coetanea “senza veli”, dando luogo a una vera e propria catena tra i social network.

Già sottoposti a processo penale per i delitti di cui all’art. 600-ter, comma 4 c.p. (per aver offerto e ceduto ad altri mediante l’utilizzo del proprio telefono cellulare, materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto e per avere pubblicato una fotografia di natura pornografica all’interno di un social network), altri per il reato di cui all’art. 600 quater c.p. (per avere consapevolmente procurato e detenuto materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto), venivano successivamente prosciolti con sentenza di non luogo a procedere, emessa all’esito di udienza preliminare.

Fu allora che i genitori della giovane vittima decisero di adire le vie civilistiche per ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti dalla figlia minorenne e da loro stessi.

Il tribunale abruzzese, all’esito del processo, ha affermato la responsabilità per “culpa in educando” ex art. 2048 c.c. dei genitori degli autori dei fatti illeciti. Tali condotte, lesive di interessi attinenti la sfera della persona, costituzionalmente rilevanti e protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, comportano l’obbligo per i genitori dei cyberbulli (sul presupposto del loro mancato assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sui figli) di risarcire i danni non patrimoniali conseguiti dalla vittima e dai suoi familiari.

Non è la prima volta che dei genitori sono chiamati a rispondere (a seconda dei casi per culpa in vigilando o per culpa in educando) dei danni causati dai propri figli minori ad altri minori per veri e propri atti di bullismo. In particolare, con riferimento alla culpa in educando, la Cassazione ha più volte chiarito che i genitori debbono sempre ritenersi responsabili dell’educazione dei propri figli e, conseguentemente, sono tenuti a risarcire i terzi per i danni causati dai loro comportamenti violenti.

In alcuni casi (Cass. Civ., Sez. III, n. 7050/2008) gli Ermellini hanno addirittura parlato di inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da impedirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale.

Ne consegue che applicando l’ultimo comma dell’art. 2048 c.c., i genitori dei minori accusati di atti violenti vanno esenti da responsabilità sul piano civile, solo se riescono a provare di non avere potuto impedire il fatto. Essi, in altre parole, devono dimostrare non solo di averlo adeguatamente educato secondo quanto disposto dall’art. 147 c.c. ma ancora di averlo osservato ai fini educativi.

Nella sentenza in esame, il tribunale di Sulmona ha chiarito che l’attività dei giovani bulli doveva considerarsi illecita e carica di capacità offensiva a prescindere dal fatto che la stessa vittima avesse “mandato le foto in favore di alcuni ragazzi per richiesta degli stessi, per sua spontanea iniziativa, per vanità o per altra ragione”.

Laddove non autorizzato, infatti, l’invio a terzi (o, peggio, la pubblicazione su un social network) di una foto ritraente l’immagine nuda di una persona (specie se minorenne) lede una pluralità di interessi attinenti alla sfera della persona e dunque protetti dall’art. 2 della Costituzione, tra cui il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, alla inviolabilità della corrispondenza.

Avv. Sabrina Caporale

 

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