Il danno biologico globale va determinato non addizionando i singoli valori percentuali di invalidità riferibili a ciascuna minorazione, bensì considerando l’incidenza reale di dette minorazioni sulla complessiva validità del soggetto

I genitori del ragazzo vittima di incidente stradale convennero in giudizio il responsabile del sinistro, al fine si sentirlo condannare, in solido con l’assicurazione, al risarcimento di tutti i danni patiti.

La corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla compagnia assicurativa contro la decisione della corte d’appello che, nel quantificare il danno non patrimoniale, aveva erroneamente, utilizzato un mero computo matematico di addizione delle percentuali delle varie voci di danno, anziché applicare una valutazione unitaria e complessiva, secondo il c.d. metodo proporzionalistico a scalare (c.d. “formula di Balthazard”), previsto dal d.m. 5 febbraio 1992, in base al quale il valore di ogni punto di invalidità diminuisce con l’aumentare del numero delle altre invalidità preesistenti ed autonome interessanti il soggetto.

La corte territoriale aveva infatti, liquidato il danno non patrimoniale (nella sua componente di danno biologico dinamico relazionale) calcolando la percentuale di invalidità permanente del 50% a carico del danneggiato, quale asserito esito di una “valutazione complessiva” costituita dalla sommatoria tra invalidità permanente (22%) riconosciuta in primo grado e quella riconosciutagli in secondo grado (28%) in forza delle risultanze della ctu collegiale, derivante, a sua volta, dalla sommatoria tra i postumi permanenti per “disturbo post traumatico da stress” (16%), per “disturbo d’ansia generalizzato (6%) e per “disturbo distimico (6%).

La Cassazione (sentenza n. 18328/2019) ha accolto il motivo affermando che ”pur dovendosi procedere ad un’analisi dell’interferenza che ogni singola menomazione ha prodotto sulla salute umana, il danno biologico globale va determinato non addizionando i singoli valori percentuali di invalidità riferibili a ciascuna minorazione, bensì considerando l’incidenza reale di dette minorazioni sulla complessiva validità del soggetto.

La personalizzazione del danno

Quanto alla personalizzazione del danno non patrimoniale, la corte territoriale l’aveva riconosciuto nella misura del 15% in base alle tabelle milanesi, adducendo unicamente, che essao andava a “compensare” le “sofferenze” fisio-psichiche sopportare a seguito delle lesioni personali così gravi”, così da assorbire “qualsiasi minor voce di danno”, ossia le voci cosiddette di “danno morale, danno esistenziale, danno edonistico”.

Ma per i giudici della Suprema Corte, tale decisione era in contrasto con il principio secondo cui il grado di invalidità permanente indicato da un “bareme” medico legale esprime, in misura percentuale, le sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona.

Le conseguenze possono, tendenzialmente, distinguersi in due gruppi: “quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidità e quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime quanto le seconde costituiscono forme di manifestazione del danno non patrimoniali aventi identica natura che vanno tutte considerate in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza, tuttavia, incorrere in duplicazioni computando lo stesso aspetto due o più volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni”.

Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale, in quanto caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione”.

Peraltro, -ha aggiunto il Supremo Collegio -, la sentenza della Corte d’appello doveva ritenersi errata anche laddove tale “personalizzazione” del danno non patrimoniale, la si volesse intendere effettuata al solo fine di addivenire ad una liquidazione “onnicomprensiva” e, dunque, assorbente di altre voci di danno.

La decisione

Una simile argomentazione contrasterebbe comunque con il principio secondo cui, in tema di danno non patrimoniale da lesione alla salute, mentre costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico-relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale), non costituisce invece, duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico –legale, perché no aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).

Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

Avv. Sabrina Caporale

Leggi anche:

MORTE DI UN PROSSIMO CONGIUNTO: RISARCIBILE ANCHE IL DANNO BIOLOGICO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui