La soppressione dell’ impianto idrico centralizzato rappresenta una ‘definitiva alterazione della cosa comune’, e viola la normativa in materia di innovazioni in ambito condominiale

L’Assemblea di condominio non può deliberare la soppressione dell’ impianto idrico centralizzato per dar luogo all’attivazione, da parte dei singoli condomini, di propri contatori autonomi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1912/2018 pronunciandosi sulla controversia insorta tra un condominio e una singola condomina.

Nello specifico l’organo di decisione condominiale aveva deliberato di chiedere alla condomina di slacciare il proprio impianto da quello condominiale per la fornitura del servizio idrico. La donna veniva invitata a “provvedere all’installazione di una linea privata con contatore privato”. Cosa che era già stata fatta dagli altri condomini nelle rispettive unità immobiliari.

La linea peraltro avrebbe dovuto essere considerata di proprietà privata della condomina, la quale avrebbe pertanto dovuto occuparsi personalmente di ogni necessaria manutenzione.

La condomina aveva quindi agito nei confronti del condominio al fine di ottenere l’invalidità del provvedimento dell’Assemblea, da lei ritenuto illegittimo.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, le aveva dato ragione. Secondo il Giudice, in particolare, la decisione di deliberare la soppressione dell’impianto centralizzato dell’acqua, rappresentava una ‘definitiva alterazione della cosa comune’, violando l’art. 1120 c.c.

Tale norma vieta, in ambito condominiale, le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.

Il condominio, a sua volta, aveva presentato ricorso in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado. Ma la Suprema Corte, confermando le argomentazioni del Giudice di Appello, ha respinto l’impugnazione ritenendola infondata.

Secondo gli Ermellini, infatti, era del tutto corretta la considerazione secondo cui l’impianto centralizzato dell’acqua potabile costituisce un “accessorio di proprietà comune”.

Tutti i condomini, pertanto, sono tenuti a pagarne le spese di manutenzione e conservazione salvo che il contrario risulti dal regolamento condominiale. Ipotesi, quest’ultima che tuttavia non ricorreva nel caso in esame.

Inoltre, secondo la Cassazione, il distacco dall’impianto, anche laddove ammesso, non esonera i singoli condomini dal pagamento dei costi i costi di manutenzione. Al più li esenta dal pagamento delle spese per il consumo ordinario.

 

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