Negato il risarcimento agli eredi di un uomo deceduto in seguito a un incidente in bici dovuto alla presenza di una buca sul manto stradale
Avevano agito in giudizio nei confronti del Comune di Gorizia e di una società di bitumi, in seguito al decesso di un parente. L’uomo era morto per le conseguenze di un incidente in bici mentre percorreva una strada comunale.
Secondo quanto ricostruito “era caduto dal mezzo a causa delle anomalie dell’asfalto della carreggiata che, in un punto, presentava una buca profonda dieci centimetri”. Secondo gli attori, quella buca era stata creata proprio dalla società convenuta in giudizio, che si era occupata dell’asfaltatura della strada.
Sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano rigettato l’istanza ritenendo non provato il nesso di causalità fra la manutenzione della strada e l’evento dannoso. Inoltre, secondo i Giudici del merito, gli eredi del defunto non avevano nemmeno dimostrato l’entità del danno.
La vicenda era quindi approdata al terzo grado di giudizio.
Rivolgendosi alla Cassazione i ricorrenti lamentavano la non corretta applicazione, in sede di appello, dell’art. 2051 c.c. relativo alla responsabilità da cosa in custodia. Il Giudice di secondo grado avrebbe infatti preteso “da parte del danneggiato, la prova del contatto fra la ruota della bicicletta e quella sola parte della strada caratterizzata dalla buca pericolosa”.
Secondo gli eredi, la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere in considerazione la presenza di “un avvallamento a forma triangolare, ubicato all’interno della corsia percorsa dalla vittima”. La buca. In particolare, era profonda dieci centimetri, non era prevedibile, né era presegnalata e nemmeno preavvisabile.
La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 18865/2015 non ha ritenuto di aderire alle argomentazioni dei ricorrenti, respingendo l’impugnazione, in quanto infondata.
Gli Ermellini hanno chiarito, al proposito, che in tema di responsabilità da cosa in custodia, il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa stessa e il danno subito. Solo dopo che venga fornita tale prova spetta eventualmente al convenuto dimostrare il caso fortuito. Quest’ultimo è da intendersi come “fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale”.
La responsabilità da cosa in custodia, quindi, ha “carattere oggettivo”.
Nel caso esaminato secondo i Giudici del Palazzaccio, la Corte d’appello aveva ritenuto correttamente che il danneggiato non avesse adeguatamente dimostrato il nesso tra l’evento dannoso e la “non idonea manutenzione della strada”.
Dagli accertamenti effettuati, infatti, non era possibile presumere che il ciclista fosse passato proprio su quella porzione di manto stradale danneggiata. Questa, peraltro, era di “ampiezza ridottissima rispetto al resto dell’emicarreggiata”.
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