La sentenza del Tribunale Latina, Sezione Lavoro, n. 835 depositata il 1° ottobre 2018, si occupata della natura e dei criteri di indennizzo del danno biologico

Il ricorrente adiva il Tribunale di Latina riferendo che in data 31.7.2009 durante lo svolgimento del suo lavoro subiva un infortunio riportando un trauma cervicale non commotivo e un trauma toracico chiuso. In conseguenza dell’evento ed a seguito di accertamenti specialistici presentava domanda all’INAIL, che riconosceva un danno biologico del 5%.

Nel costituirsi l’Ente contestava la domanda chiedendone il rigetto.

L’accertamento del nesso causale

In particolare, con il giudizio il ricorrente chiede l’accertamento del nesso causale tra l’infortunio verificatosi in data 31.7.2009, mentre era alla guida del proprio motoveicolo, indossando il casco regolamentare, e la malattia sopravvenuta.

Al ricorrente a seguito del sinistro venivano diagnosticati cervicalgia, trauma toracico, ed insufficienza respiratoria da stenosi sopraglottica post traumatica. Tali patologie venivano accertate, da parte dello stesso Istituto, come diretta conseguenza dell’infortunio, ma con valutazione del 5% e, pertanto, senza diritto ad un indennizzo monetario né tantomeno ad una rendita.

I meccanismi applicativi della disciplina indennitaria.

Si premette che la disciplina indennitaria è costituita dall’insieme delle disposizioni contenute nell’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000 e delle norme del Testo Unico ivi espressamente richiamate, nonché dalle altre norme del Testo Unico, e delle successive integrazioni o modifiche, che restano applicabili in quanto compatibili con la nuova disciplina, per effetto del generale richiamo effettuato dal comma 11 dello stesso articolo 13.

Gli infortunati senza postumi o con postumi inferiori al 6%, non hanno diritto ad indennizzo, che inizia ad essere corrisposto dal grado di menomazione pari o superiore al 6% (comma 2, lettera a).

Ai sensi del comma 4, in caso di aggravamento conseguente all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale, questi assicurati, entro dieci anni dalla data dell’infortunio o quindici dalla data di denuncia della malattia professionale, hanno diritto a richiedere:

– l’indennizzo in capitale per danno biologico, se la menomazione si è aggravata raggiungendo o superando il grado del 6% senza arrivare ad un grado indennizzabile in rendita (pari o superiore al 16%);

– la liquidazione della rendita per danno biologico e danno patrimoniale, se la menomazione si è aggravata ed ha raggiunto un grado indennizzabile in rendita.

Se si tratta di malattie neoplastiche, di silicosi o asbestosi, o di malattie infettive e parassitarie, la domanda di aggravamento, esclusivamente ai fini della liquidazione della rendita e, quindi, non ai fini dell’indennizzo in capitale, può essere presentata anche oltre i limiti temporali di cui sopra, con scadenze quinquennali dalla precedente richiesta.

Il procedimento amministrativo per l’accertamento dell’aggravamento ai fini dell’indennizzo in capitale o in rendita può essere promosso solo a richiesta dell’interessato, e quindi non su iniziativa dell’Istituto La richiesta va formulata nei modi e nei termini stabiliti per la revisione delle rendite in caso di aggravamento. Si osserva, a tale riguardo, che questa disposizione, sia nella ratio che nella formulazione letterale, è identica alla norma contenuta nel penultimo comma dell’art. 83 T.U., alla cui applicazione il legislatore intende, quindi, fare riferimento.

Nel caso di infortunati con postumi di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%, gli stessi hanno diritto soltanto all’indennizzo in capitale del danno biologico.

Pertanto, una volta accertato in sede medico-legale che a seguito dell’infortunio o della malattia professionale sono residuati postumi di grado pari o superiore al 6% ed inferiori al 16%, all’assicurato va liquidato l’indennizzo in capitale nella misura indicata nella apposita “Tabella indennizzo danno biologico”.

La decisione del Tribunale di Latina

Ebbene, il Tribunale osserva che l’art. 13 del Decreto legislativo n. 38/2000, dopo aver definito, ai fini dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come “la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona“, ha stabilito che la menomazione, ossia l’invalidità permanente, conseguente a quella lesione sia indennizzata con una nuova prestazione economica che sostituisce la rendita per inabilità permanente prevista dall’art. 66, n. 2, del Testo Unico.

Questa nuova prestazione indennizza sempre il danno biologico fino al 100%, tranne che per le menomazioni di grado inferiore al 6%, ritenute, per la loro lieve entità, non rilevanti in un sistema di tutela sociale.

L’indennizzo del danno biologico è reddituale, nel senso che viene determinato senza alcun riferimento alla retribuzione dell’infortunato, e viene erogato sotto forma di capitale per gradi di invalidità pari o superiori al 6% ed inferiori al 16%, ed in rendita a partire dal 16%, considerato che, a partire da quest’ultima soglia, la gravità della menomazione rende necessaria la corresponsione di una prestazione economica che garantisca il sostegno nel tempo.

L’art. 13, in sostanza, abolisce la rendita per inabilità permanente e non prevede alcun indennizzo per gradi di menomazione inferiori al 6% e un indennizzo in capitale del solo danno biologico per gradi di menomazione pari o superiori al 6% ed inferiori al 16%.

Nel caso de quo, premesso il riconoscimento da parte dell’INAIL del nesso causale, il Tribunale deve accertare  se la valutazione del 5% operata dal medico dell’Istituto possa ritenersi congrua.

Il giudice ritiene di non doversi discostare dalla espletata CTU perché congruamente e logicamente motivata. La consulenza ha riconosciuto, diversamente da quanto stabilito dai sanitari dell’INAIL, il danno biologico nella misura del 6%.

Da ciò discende la fondatezza del ricorso in quanto l’invalidità cagionata dall’infortunio, raggiunge la percentuale del 6% ed è, pertanto, indennizzabile ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000.

Il Tribunale ha quindi, accogliendo il ricorso, condannato l’Inail al pagamento dell’indennizzo in conto capitale oltre interessi dal giorno del dovuto sino al soddisfo.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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