Nella sentenza i Giudici rilevano come dal materiale probatorio acquisito emerga l’assenza del nesso di causalità tra l’operato dell’imputato ed il decesso, per cui non esiste la colpa medica

Per la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza 13 settembre 2017 – 27 marzo 2018, n. 14033 –Presidente Savani – Relatore Socci), la colpa medica non è addebitabile al primario del reparto di Chirurgia pediatrica, per la morte di un bambino, a cui in ospedale aveva somministrato due cucchiai di olio di ricino contro la stitichezza, ignorando l’effettiva origine del problema del piccolo paziente.

Ma vediamo quali sono le motivazioni che hanno supportato il ragionamento della Suprema Corte,

I fatti

La Corte di appello di Palermo, in sede di rinvio per l’annullamento della precedente sentenza con la decisione della Cassazione, ha riformato la decisione di condanna primo grado del Tribunale di Trapani, con l’assoluzione di un sanitario perché il fatto non sussiste relativamente al reato di cui agli art. 40, 113 e 589, comma 1, cod. pen.. L’imputato aveva rinunciato alla prescrizione.
Le parti civili propongono ricorso per Cassazione e impugna la decisione anche la Procura Generale presso la Corte di appello di Palermo.

La Cassazione con la decisione di annullamento della precedente sentenza aveva circoscritto la nuova indagine della Corte di merito, da un lato, alla sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità colposa e, dall’altro, al nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del sanitario e l’evento morte. Sia la Procura generale e sia le parti civili avevano richiesto alla Corte di appello, in sede di rinvio, la riapertura dell’istruzione dibattimentale, proprio per dare concreta attuazione ai dettami contenuti nella sentenza di annullamento della Cassazione.

La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale

I ricorrenti richiedono l’annullamento della sentenza, sostanzialmente, per non aver accolto l’istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, relativamente alla richiesta perizia collegiale, sugli aspetti della vicenda in esame.

Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma primo, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (cfr. Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015 -dep. 27/02/2015, Leoni, Rv. 26262001).
Ebbene per gli Ermellini la decisione impugnata è adeguatamente motivata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, rilevando come «le risposte degli eventuali nuovi periti da nominare riguarderebbero quesiti che esulano dalla condotta ascritta all’imputato nel capo di imputazione e a fronte della quale egli è chiamato a rispondere e, precisamente, “l’avere omesso, di diagnosticare la malattia di Hirschprung”, “l’avere omesso, di conseguenza, di somministrare o comunque prescrivere la idonea terapia chirurgica”, nonché “l’avere prescritto due cucchiai di olio di ricino che, a causa dell’insorgere di un vomito incoercibile, avrebbe accelerato lo shock ipovolemico e diselettrolitico ed il conseguente collasso cardiocircolatorio”, condotte con riferimento alle quali tutti i periti e consulenti che hanno agito nel processo si sono già espressi in senso univoco; che, conseguentemente, non può trovare accoglimento la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale formulata dal P.G. esulando dai limiti del giudizio imposto dalla Corte di Cassazione in sede di rinvio».

Ma la perizia è una prova decisiva?

Per la Corte di Cassazione no, atteso che  rileva che la perizia non può ritenersi prova decisiva, al contrario di quanto ritenuto dai ricorrenti: «La perizia non rientra nella categoria della “prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in Cassazione» (cfr. Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 – dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 25370701; nello stesso senso Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 – dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 25515201).

Il nesso di causalità tra l’operato dell’imputato ed il decesso, necessario per rilevare la colpa medica

Nella sentenza i Giudici rilevano come dal materiale probatorio acquisito emerga con tutta evidenza l’assenza del nesso di causalità tra l’operato dell’imputato ed il decesso (assente quindi la colpa medica); infatti, per la sentenza impugnata, «tutti i periti sentiti nel giudizio di primo grado, fatta eccezione di quelli dell’imputato, hanno concluso che la prescrizione dell’olio di ricino da parte dell’imputato dopo la visita effettuata al piccolo Ma. la mattina del 7 luglio 2007 era da considerarsi non corretta dal punto di vista sanitario in considerazione delle particolari condizioni di salute del paziente conosciute dal Do., trattandosi in ogni caso di un rimedio eccessivo per un bambino di piccola età, così come hanno concordato che tale somministrazione era da considerare la causa prima dell’episodio di vomito avvenuto dopo circa trenta minuti dalla somministrazione del primo cucchiaio dell’olio di ricino”.

Ma che tale somministrazione accelerasse lo shock ipovolemico e diselettrolitico ed il conseguente collasso cardiocircolatorio non viene affermato da alcuno.

In particolare gli Ermellini si soffermano sull’utilizzo del termine accelerava  che sta a significare che lo shock sarebbe comunque insorto.

E se  è certamente rimproverabile all’imputato sotto il profilo strettamente professionale la circostanza di avere prescritto al bambino la somministrazione di due cucchiai di olio di ricino, tale terapia suggerita e praticata può essere collegata come determinante solamente al vomito e alla incidenza di questo sul verificatosi shock ipovolemico e diselettrolitico, ma non già all’evento morte successivo di cui non costituisce neanche concausa, giacché l’evento tipico era quello di un grave effetto emetico indotto dall’olio di ricino, e di una conseguente disidratazione, non correlabile, però, per espressa indicazione dei periti, a un rischio morte, non ipotizzabile in astratto, né in concreto giustificato dalla tenera età e dalle condizioni del bambino, in realtà non allarmanti al momento della visita secondo altrettanta univoca indicazione peritale.

Da tanto discende che la perizia collegiale sarebbe stata meramente esplorativa, di indagine, e pertanto non decisiva e né idonea a modificare il già chiaro quadro probatorio, come adeguatamente motivato dalla decisione impugnata e che ex art. 603, cod. proc. pen. poiché la Corte di appello ha rilevato la possibilità di decidere allo stato degli atti, non sussiste un vizio di legittimità della decisione, trattandosi, come visto, di valutazione di merito, insindacabile se correttamente motivata (vedi la citata Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015 – dep. 27/02/2015, Leoni, Rv. 26262001).

Tra l’altro, nel corso del giudizio di appello nessuno aveva richiesto la rinnovazione dell’istruttoria e la sentenza di annullamento della Cassazione,  nell’accogliere il ricorso dell’imputato non ha richiesto affatto nuove perizie, ma ha, solo ed esclusivamente, evidenziato «gravi carenze motivazionali e manifeste illogicità che devono condurre al suo annullamento, con rinvio, per nuovo esame».

Gli Ermellini hanno, quindi, affermato il seguente principio di diritto:

«Nel giudizio d’appello, in esito al rinvio per annullamento della Cassazione, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (nella specie una perizia collegiale, in considerazione delle numerose perizie già effettuate), prevista dall’art. 603, comma primo, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; la perizia inoltre non rientra nella categoria della “prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego, in appello, non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in Cassazione, in particolare se la perizia richiesta risulta esplorativa e relativa peraltro ad accertamenti già effettuati dalle parti e nel dibattimento dal giudice (tentativo di rivalutare tutte le precedenti perizie)».

 

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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