La vicenda oggetto di questa breve disamina riguarda purtroppo un caso di morte di un bambino di soli 17 mesi, cagionato (così come si legge dal corpo della motivazione di sentenza), per colpa, dal medico anestesista.

I fatti

Il medico anestesista risultava imputato per il delitto di cui all’art. 589 c.p., in quanto nell’ottica accusatoria, in cooperazione colposa con altri medici di un ospedale pediatrico, nell’anno 2007, nel tentativo di incannulare la giugulare del piccolo paziente di soli 17 mesi, perforava la cupola pleurica provocando sanguinamento che generava infine l’exitus del bambino.

Ebbene, il sanitario veniva condannato in primo grado, assolto poi in secondo grado con la formula “perché il fatto non sussiste” (sebbene fosse frattanto maturato il termine di prescrizione dell’addebito) ed infine prosciolto dalla Suprema Corte, adita dal Procuratore Generale e dalle Parti Civili, nella sentenza n° 33405/18, in ragione però della intervenuta prescrizione del reato.

Sul punto, invero, veniva rilevato dal Procuratore Generale, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che le condizioni del paziente erano buone sino al momento in cui il medico anestesista non procedeva in maniera infruttuosa ad incannulare la giugulare.

In particolare, la Pubblica Accusa affermava, richiamandosi alle leges artis mediche, che la letteratura medica ha previsto sino ad un massimo di cinque tentativi di incannulamento della giugulare, a dispetto dei ben sette tentativi realizzati dall’imputata che, in un paziente peraltro in tenera età e dunque con una conformazione corporea alquanto ridotta, configura appieno una condotta imprudente.

Analoghe, inoltre, erano le argomentazioni logico giuridiche esposte dalle parti civili, le quali, evidenziando peraltro contraddizioni emerse anche dalle prove dichiarative, richiedevano al Collegio di Legittimità l’annullamento della sentenza di secondo, affermando che la condotta del medico anestesista è stata assolutamente negligente ed imperita.

Orbene, la Suprema Corte ha ritenuto fondati i ricorsi per Cassazione e pertanto ha ugualmente dichiarato il proscioglimento del medico anestesista, ma non “perché il fatto non sussiste”, bensì per intervenuta prescrizione, con le conseguenze pertanto che ne discendono, in tema appunto di risarcimento del danno.

In particolare, evidenziavano gli Ermellini che il fatto risale all’anno 2007 e che sino alla pronuncia della Suprema Corte, avvenuta alla pubblica udienza celebrata 13 aprile 2018, si sono succedute ben tre normative, in materia appunto di colpa medica.

Invero, nel 2007 il sanitario era penalmente responsabile quale che fosse il grado della colpa, essendo pertanto indifferente se il medico versasse in una situazione di colpa lieve ovvero di colpa grave.

In seguito, nel 2012, è entrata in vigore la Legge Balduzzi, la quale escludeva la penale responsabilità del sanitario nelle ipotesi di colpa lieve, allorquando il medico nello svolgimento della propria attività si fosse attenuto alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Infine, allo stato la normativa di riferimento è la Legge Gelli Bianco che ha introdotto all’interno del nostro ordinamento giuridico l’art. 590 sexies c.p., il quale recita testualmente: “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Ebbene, afferma la Corte di Cassazione che, alla stregua dei principi dettati in materia di successioni di leggi penali nel tempo, ex art. 2 c.p., e dunque in pieno rispetto al principio del favor rei, la normativa vigente nel 2007, ossia alla data di consumazione dell’addebito, non va applicata, in quanto certamente più sfavorevole all’imputato rispetto sia alla Legge Balduzzi sia alla Legge Gelli Bianco.

Detto ciò, nella sentenza individuata dal n° 33405/18, la Suprema Corte evidenzia che in tema di negligenza ed imprudenza con configurazione di colpa lieve, la Balduzzi è certamente più favorevole al reo, atteso che in tali casi risulta esclusa la penale responsabilità del sanitario, allorquando egli abbia rispettato le linee guida ovvero le buone pratiche; per converso, in caso di imperizia, la Gelli Bianco risulta più conforme al principio del favor rei.

Tuttavia, di pregnante rilievo è il richiamo – ad avviso di chi scrive – alla sentenza Mariotti, pronunciata dalle Sezioni Unite, secondo cui anche nell’ambito della colpa da imperizia è più favorevole il decreto Balduzzi, atteso che l’errore determinato da colpa lieve risulta esente da responsabilità.

Concludono poi gli Ermellini affermando che alla luce della normativa vigente, l’esercente la professione sanitaria risponde a titolo di colpa, per morte ovvero per lesioni personali derivanti dall’attività medico chirurgica:

“…a) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali;

  1. c) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nell’individuazione nella scelta di linee guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
  2. d) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee guida o buone pratiche clinico assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico…”.

In conclusione, nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione riscontra la carenza di motivazione con la conseguenza che la sentenza di secondo grado risulta censurabile sotto il profilo della legittimità e dunque annullabile, senza tuttavia operare il rinvio, attesa l’intervenuta prescrizione del reato.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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