Inefficace l’accordo tra conduttore e locatore che prevede un canone di locazione superiore a quello dichiarato nel contratto registrato

E’ nullo il patto stipulato tra conduttore e locatore di un immobile commerciale che preveda occultamente il pagamento di un affitto più alto rispetto a quanto previsto dal contratto di locazione registrato. Lo ha sancito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 29016/2018.

Gli Ermellini si sono pronunciati, nello specifico, sul ricorso presentato da una società che chiedeva la restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al canone dovuto in base al contratto di locazione per un immobile ad uso non abitativo. La domanda era stata respinta sia in primo grado che in appello.

I Giudici Ermellini hanno invece ritenuto fondate le argomentazioni della ricorrente. La Cassazione ha riconosciuto che indubbiamente per gli immobili commerciali le parti possono pattuire un canone crescente per frazioni successive di tempo. Ciò a patto che l’aumento sia ancorato ad elementi certi e predeterminati.

Nel caso in esame l’accordo tra conduttore e locatore aveva il solo fine di consentire che quest’ultimo traesse dall’atto un reddito superiore rispetto a quello assoggettato all’imposta.

Il patto, pertanto, non poteva considerarsi valido ed efficace, “impingendo nella violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alla norma fiscale elusa”. In base alla giurisprudenza di legittimità, infatti, la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa e inderogabile oltre che nei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione, anche in quelli privati.

Per la Cassazione il discorso sarebbe stato diverso se le parti avessero modificato il precedente assetto con un nuovo accordo, sempre purché non si fosse trattato di un escamotage per risparmiare sul pagamento delle imposte. Da qui la decisione di cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo esame della causa.

 

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