Ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA non rileva quale causa di forza maggiore, per il legale rappresentante di un’impresa, lo stato di dissesto imputabile alla precedente gestione

La Corte di Appello di Ancona, aveva confermato la condanna inflitta dal Tribunale della stessa città, alla pena di 9 mesi di reclusione per il reato di omesso versamento IVA (di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter) nei confronti del liquidatore di una società in grave crisi economica.

Quest’ultimo proponeva pertanto, ricorso per Cassazione denunciando anzitutto il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in ordine all’elemento psicologico del reato.

La Corte di Appello, sebbene avesse riconosciuto e acclarato lo stato di difficoltà della società, non aveva altresì, escluso il dolo della condotta omissiva ascritta all’imputato; ed invero, quest’ultimo, in qualità di liquidatore della società non aveva alcuna intenzione di porre in essere la condotta penalmente sanzionata. Al contrario, egli si era impegnato nel dar vita ad una importante entrata derivante dal contratto di affitto di azienda, il cui canone sarebbe stato destinato proprio a risanare il debito con l’erario.

La sentenza inoltre, sarebbe stata viziata, in quanto avrebbe onerato il ricorrente di fornire la prova dell’impossibilità di reperire le risorse necessarie a consentire il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza tuttavia, esservi riuscito per cause a lui non imputabili.

Niente da fare! Per i giudici della Cassazione il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte di appello di Ancona avrebbe correttamente ritenuto che il reato contestato fosse punibile a titolo di responsabilità oggettiva e a titolo di dolo generico.

Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, che trova il suo fondamento in una recente sentenza delle Sezioni Unite (n. 37424 del 28/03/2013), il reato ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte.

Ebbene, la prova del dolo è insita nella stessa presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, che successivamente deve essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia ed entro il termine lungo previsto.

Il dolo del reato è, dunque, integrato dalla condotta omissiva posta in essere dall’imputato, che peraltro era consapevole della sua illiceità.

Il mancato pagamento alla scadenza del termine concretizza il dolo; come correttamente osservato da Cass. Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, la scelta di non pagare l’imposta dovuta prova il dolo.

Su un piano diverso si pongono le ragioni di tale scelta; esse tuttavia, attengono ai motivi non al dolo e, pertanto, non lo escludono.

A nulla vale, inoltre eccepire che lo “stato di difficoltà finanziaria della società”, fosse esistente al momento del suo ingresso nella società e perciò, a lui non imputabile.

Anche sul punto, va richiamato il principio più volte espresso nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015) secondo cui ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000), non rileva quale causa di forza maggiore per il legale rappresentante di un’impresa lo stato di dissesto imputabile alla precedente gestione, quando risulta che l’agente al momento del suo subentro nella carica aveva la consapevolezza della crisi di liquidità e non era nell’impossibilità a lui non ascrivibile di intraprendere alcuna iniziativa per fronteggiare tale situazione.

Il ricorso è, perciò, non meritevole di accoglimento.

La redazione giuridica

 

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