Nell’ambito dell’operazione gesso, gli inquirenti mirano a verificare se le lesioni risarcite dalle assicurazioni fossero vere o inventate

I Carabinieri hanno sequestrato numerose cartelle cliniche negli ospedali di Tortona, Alessandria, Voghera, Genova, oltre che in Lombardia. Nel mirino dei militari vi sarebbe un meccanismo messo a punto da una famiglia di origine kosovara per truffare le assicurazioni attraverso finti incidenti. Gli inquirenti vogliono appurare, nello specifico, se le diagnosi di fratture e traumi vari, risarciti dalle assicurazioni, fossero vere o inventate. Non a caso gli uomini dell’arma hanno denominato l’operazione gesso, richiamando le ingessature ospedaliere.
Le indagini, come riporta La Stampa, riguarderebbero anche alcune decine di medici, stimati professionisti di più località, nonché una mezza dozzina di avvocati. I reati ipotizzati sono di associazione a delinquere per commettere truffe e falsi.
Il sistema ideato prevedeva l’abbordaggio di persone indigenti che, in cambio di pochi euro, diventavano i protagonisti del raggiro. A loro venivano fatti firmare  contratti di assicurazione con più compagnie, all’insaputa l’una dall’altra.

Gli venivano inoltre attivati dei conti correnti cointestati con membri della famiglia kosovara.

Quindi, venivano messi in scena – secondo l’ipotesi degli investigatori – degli incidenti con conseguenti lesioni che venivano certificate al Pronto soccorso o in uno studio medico. Infine gli avvocati presentavano le richieste di indennizzo alle compagnie assicurative le quali, ignare di essere coinvolte assieme ad altre aziende, pagavano i risarcimenti dovuti.
I sospetti di alcune imprese assicuratrici sono affiorati al presentarsi di infortuni poco credibili o troppo simili ad altri. Tant’è che i carabinieri avrebbero scoperto che con un medesimo infortunio sarebbero stati riscossi più indennizzi.
Quanto al ruolo dei medici sono in corso accertamenti per verificare se i professionisti coinvolti fossero complici o vittime essi stessi del sistema criminale. Secondo quanto riferisce la Stampa, alcuni camici bianchi avrebbero dichiarato, senza esitazione, di aver certificato lesioni realmente esistenti. Si tratta dunque di capire, se in ospedale si presentassero effettivamente pazienti fratturati, ma diversi da quelli che poi chiedevano il risarcimento, ovvero se ci siano state sostituzioni di persone. Del resto al Pronto soccorso non vengono richiesti i documenti di identità, ma si registrano al triage i dati forniti dal paziente.
 
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