La Corte d’appello di Catanzaro aveva confermato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da Poste Italiane s.p.a. ad una propria dipendente. Dal giudizio era emerso che la lavoratrice assecondava gli ordini di servizio e le sollecitazioni a operazioni illegittime impartite dalla propria direttrice

Tuttavia, i giudici della Corte d’Appello, osservavano che la lavoratrice aveva adempiuto a un dovere impartito dal proprio superiore gerarchico seppure attraverso l’esecuzione di ordini di servizio illegittimi.

A tal proposito chiarivano che il fatto contestato alla dipendente non poteva essere inquadrato come rientrante nelle ipotesi contemplate dall’art. 54, comma V, lett. c) CCNL 2011 (in tema di danni derivanti dall’inosservanza degli obblighi di servizio) poiché la società Poste Italiane non aveva dedotto, né provato che dalla condotta della lavoratrice fosse conseguito un qualunque danno, né poteva essere ricondotto lett. g) del citato CCNL (in tema di incapacità di adempiere adeguatamene agli obblighi di servizio), e dunque non vi erano giustificazioni per adottare la sanzione espulsiva.

Ad essere contestato non era infatti, la circostanza che la lavoratrice non avesse ottemperato agli ordini di servizio, ma tutto il contrario, ossia il fatto che la stessa avesse adempiuto a degli obblighi illegittimi, acconsentendo alle sollecitazioni provenienti dalla propria direttrice.

La decisione della Cassazione

Secondo i giudici della Cassazione, le motivazioni addotte dalla corte territoriale, nella sentenza impugnata, non potevano essere condivise.

I giudici di merito hanno, infatti, palesemente violato l’art. 1362 c.c., comma 1, in materia di interpretazione del contratto, sia perché il testo negoziale si riferisce ad “obblighi” e non ad “ordini” di servizio, sia perché l’esecuzione di un ordine illegittimo impartito da un superiore gerarchico non può non equivalere alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti circa il rispetto delle norme interne legittimamente emanate, coerentemente con il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro privato, non può trovare applicazione l’art. 51 c.p. (l’esimente penale dell’esercizio di un diritto o adempimento di un obbligo, che esclude il reato), stante l’assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge (cfr. da ult. Cass. n. 23600 del 2018).

Cosicché la sentenza è stata cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame di merito.

La redazione giuridica

 

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