I periti incaricati dai magistrati, specie in sede penale, devono convincersi che non si è ricevuto l’incarico per difendere una delle parti in causa, bensì la verità!

Ho detto in passato che la verità rende liberi tutti e, in questo caso, anche i periti e i consulenti di ufficio. Non voglio far credere che i periti conoscano la verità come la conosce il Padre Eterno, ma la verità peritale è quella sensazione di leggerezza dell’anima che ci rende autorevoli nei giudizi, in quanto ricercatori della giustizia intellettuale e scientifica oltre che di quella documentale.

Sto analizzando un caso di responsabilità medica in sede penale che ha dell’incredibile, con il quale ci sarebbe da scrivere un libro. Ipocrisia, ignoranza, parzialità, tutto in un pentolone che meraviglia anche i giudici (non il PM che si occupa di questo caso) i quali, nella necessità di non poter essere “spontanei”, scrivono quanto segue:

Si dispone, quindi, la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede perché ne curi la trasmissione al Pubblico Ministero presso il Tribunale di X, che dovrà valutare se gli atti di indagine fino ad ora compiuti consentano di avanzare una richiesta di archiviazione. Ci si permette solo di evidenziare quanto segue: la causa del decesso è da ricondurre ad un’insufficienza cardiocircolatoria acuta secondaria ad emorragia massiva originata da fistola tracheo — esofagea estesa alla parete dell’aorta toracica, in soggetto con doppio arco aortico. I consulenti del PM, prof. X e Y, ritengono, nell’escludere che sussista una responsabilità colposa in capo ai medici, che non fosse possibile stabilire con certezza il momento in cui sarebbe insorta la fistola. Testualmente scrivono, a pagina 48 della relazione in atti, ”le immagini TC torace eseguite nei giorni 11/05 13/05 – 16/05 -21/05 non consentono di affermare con  certezza che fossero presenti l’11·5 i tragitti fìstolosi”, così inducendo il dubbio che le immagini potessero quanto meno indurre il forte sospetto della presenza della fistola stessa. La circostanza è assai rilevante se solo si considera che da una parte il consulente tecnico di parte offesa, basandosi su un parere reso dal prof. PP, afferma che la lesione fosse visibile con certezza già dal 21/05, se non addirittura già dal 16/05, e che dall’altra tale affermazione è stata condivisa dai consulenti tecnici nominati in prima battuta dallo stesso Pubblico Ministero. Alla data del 21 maggio i sanitari erano, peraltro, già incorsi nell’altro errore diagnostico, non rilevando la presenza del doppio arco aortico, per quanto avessero la disponibilità di più immagini TAC torace da più giorni, immagini che peraltro hanno consentito una corretta diagnosi ai colleghi di (ospedale) SS, senza bisogno di alcun consulto. Del resto, non si coglie nemmeno per quale ragione la presenza di un consulto dovrebbe esonerare da responsabilità medici con alta specializzazione tanto più ove risulti che le immagini, come affermato dagli stessi consulenti tecnici di parte, fossero “piuttosto suggestive” della presenza di un doppio arco aortico (pagine 53  della relazione). Appare, quindi, ragionevole ritenere che una tempestiva diagnosi circa la presenza della fistola, oltre dieci giorni prima della morte, avrebbe potuto consentire ai medici non – come sembra suggeriscano i consulenti del Pubblico Ministero — un intervento sul doppio arco aortico, ma sulla fistola stessa, le cui dimensioni certo dovevano essere molto più modeste di quelle riscontrate in sede di autopsia…”.

Quanto dichiarato dal GIP la dice lunga sulla scarsa terzietà del secondo collegio peritale (immaginatevi cosa hanno scritto i primi periti incaricati per essere sostituiti!) e sulla scarsa logica delle conclusioni a cui è  addivenuto tale collegio.

Non si riesce a immaginare come, nello scrivere le relazioni, i medici forensi incaricati, nel rileggere quanto scritto e ripensando alle prove inconfutabili in atti, possano firmare queste miserevoli sciocchezze.

Concludo nel rivolgere un pensiero ai colleghi che fanno tale mestiere (il perito) senza scrupoli di coscienza: “Danneggiare con un giudizio parziale un cittadino già danneggiato dagli eventi equivale a togliere le speranze nella giustizia e a disprezzare il bene della vita, della salute e della libertà altrui. E tale comportamento verrà condannato in quei momenti in cui un giudizio parziale è ciò che meno si desidera per la propria sorte”.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

 

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