Respinto il ricorso di un uomo, accusato di stalking nei confronti dell’ex fidanzata, che eccepiva la reciprocità dei comportamenti molesti

Aveva ripetutamente contattato l’ex fidanzata con continue telefonate e messaggi di posta attraverso i social network, cagionandole un perdurante e grave stato d’ansia o paura. Aveva inoltre ingenerato nella vittima un fondato timore per la propria incolumità costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita. Il tutto con l’aggravante di aver commesso il fatto dopo esserle stato legato da relazione affettiva. L’uomo era stato condannato in sede di merito per il reato di stalking ai sensi dell’articolo 612 bis del codice penale. Nel ricorrere per cassazione, l’imputato eccepiva la reciprocità dei comportamenti molesti.

In particolare, evidenziava come la persona offesa fosse stata condannata per il reato di minacce ai suoi danni. Né, a suo avviso, poteva non ritenersi rilevante la remissione di querela del principale testimone dell’accusa. Questi aveva giustificato la sua decisione sostenendo che le circostanze di cui in denuncia erano state riportate in modo esagerato. Si sarebbe quindi trattato “dell’ammissione postuma di una condotta calunniatoria che incideva sulla credibilità dei testi, tra cui la persona offesa”.

Inoltre, nonostante la reciprocità degli insulti e delle aggressioni fisiche e verbali, i due avevano continuato a frequentarsi anche dopo la fine della relazione sentimentale. Le prove documentali e testimoniali, quindi, consentivano di concludere che non era stato arrecato alcun cambiamento nelle abitudini di vita della presunta vittima.

La Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 53630/2018 ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte dal ricorrente, respingendone l’impugnazione in quanto infondata.

Secondo i Giudici Ermellini, la condanna per minacce non valeva di per sé a minare la credibilità della donna. A detta dei Giudici del Palazzaccio, la Corte territoriale aveva vagliato criticamente i fatti. Aveva altresì valorizzato le minacce, gli insulti, le recriminazioni alternate ad ammissioni di colpa e richieste di perdono o pietà. Nonché il perdurante e grave stato di ansia e paura in cui era stata ridotta la persona offesa. Le dichiarazioni della vittima peraltro erano state ritenute attendibili perché caratterizzate da pacatezza e precisione.

 

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