In tema di responsabilità genitoriale per presunto abbandono di minori e affidamento degli stessi a strutture pubbliche, costituisce passaggio obbligatorio l’ascolto dei figli da parte del giudice

Inizialmente era stata avviata una procedura di verifica della responsabilità genitoriale a carico di una coppia, con affidamento temporaneo esclusivo dei loro due figli minori ai servizi sociali e inserimento in una struttura pubblica.

La coppia aveva fatto ricorso alla Corte d’appello territorialmente competente contro il predetto provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni.

Ma per i giudici di secondo grado l’appello dei due genitori non aveva fondamento. Era infatti, stata accertata, anche grazie al rapporto dei servizi sociali “una situazione di disagio in entrambi i minori, (..), nonché comportamenti materni disfunzionali nella cura ed il rifiuto sistematico del sostegno pubblico”.

“Allo stato – si leggeva nella relazione degli operatori sociali -, non vi era, quanto alla madre, alcun segnale di recupero della capacità genitoriale, gravemente compromessa (apparendo la stessa “affetta da un disturbo della personalità, di tipo paranoideo”, strutturato nel tempo), e, anche ove possibile, lo stesso recupero richiederebbe tempi talmente lunghi da essere incompatibile con le esigenze dei due minori”.

Inoltre, si rilevava che non era neppure percorribile l’ipotesi di mantenere la responsabilità genitoriale in capo al solo padre, assente volutamente dalla vita dei figli.

L’ascolto (negato) dei minori

La difesa della coppia eccepiva anche un’ulteriore circostanza: nel corso del giudizio di merito, mai i due figli minori erano stati ascoltati, il ché avrebbe viziato ogni decisione nei loro confronti.

Secondo i giudici dell’appello anche tale assunto era privo di fondamento dal momento che gli stessi, infradodicenni, erano stati sentiti ed esaminati dalla struttura pubblica ove erano collocati e che comunque non è né obbligatorio né opportuno disporre la loro audizione dinanzi al Collegio.

Il giudizio di legittimità

Il punto interessante della vicenda è proprio stabilire l’importanza dell’ascolto dei minori all’interno di un procedimento riguardante la responsabilità dei loro genitori.

E, infatti, nella pronuncia in esame (ordinanza n. 1887/2019) i giudici della Suprema Corte di Cassazione si soffermano ampiamente sul tema.

L’incapacità ad essere genitori

Non era stato smentito nel corso del giudizio e dalla documentazione in atti che la madre dei due bambini fosse irrimediabilmente incapace di comprendere la situazione di disagio dei figli e le loro esigenze di sviluppo equilibrato, tanto da negarne la stessa sussistenza. Aveva, infatti, rifiutato ogni sostegno e aiuto (anche attraverso un percorso psicoterapeutico) offertole dai servizi sociali e anzi, il fatto che la stessa avesse addirittura abbandonato il percorso di valutazione terapeutica dava conferma ulteriore delle sue difficoltà personali, nonché della presenza, nella sua psiche, di una “perdurante divaricazione fra la realtà dei fatti e la sua interpretazione soggettiva“.

Ad avviso della Corte territoriale, non era dunque ipotizzabile un recupero delle capacità genitoriali della donna con tempistiche compatibili con le necessità dei minori.

A tal proposito la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva e attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, e avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).

In ragione del diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).

Dall’altra parte si pone il ruolo del servizio sociale incaricato che non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile.

Il giudizio sulla situazione di abbandono

Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante prognostico.

Il parametro di riferimento per tale operazione giunge direttamente dalla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H. contro Italia) ed è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità: “In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”.

Vi è abbandono quando tale condizione non derivi soltanto da condizioni di emarginazione socio economica dei genitori o quando questi ultimi rifiutino intenzionalmente di assolvere ai doveri genitoriale, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità (Cass.4097/2018; conf. Cass. 26624/2018).

La vicenda in esame: un caso di abbandono?

Ora nel caso in esame, non vi erano dubbi che la corte di merito avesse esaminato scrupolosamente la capacità genitoriale della madre e pertanto, correttamente aveva escluso la possibilità di un suo recupero (sulla base essenzialmente dell’insuccesso del programma di sostegno alla genitorialità interrotto volontariamente dalla ricorrente).

Ma allo stesso tempo – secondo gli Ermellini -, la decisione impugnata non spiegava per quale ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva.

L’ascolto dei minori

In ordine poi all’ascolto dei due minori, infradodicenni, i giudici dell’appello hanno respinto le censure mosse dai ricorrenti sull’assunto che non debba considerarsi obbligatorio, essendo i minori infradodicenni, e neppure opportuno, la loro audizione, posto che gli stessi erano stati già sentiti dalla struttura sociale incaricata.

Quanto mai di più falso!

La Cassazione ammonisce i giudici dell’appello ricordando che “come chiarito da questa Corte (Cass. 6129/2015), l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori (…) cosicché “l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse“.
L’obbligatorietà dell’ascolto (Cass. 15365/2015) del minore, che abbia compiuto dodici anni – o anche di età inferiore, se capace di discernimento – in vista della dichiarazione di adottabilità, esprime un principio che, benché inserito nella disciplina del giudizio di primo grado, va esteso al giudizio di adottabilità nel suo complesso, cosicché, ove l’adottando abbia compiuto i dodici anni al tempo del giudizio di appello, il giudice del gravame è tenuto a procedere alla sua audizione, “riflettendo tale obbligo una nuova considerazione del minore quale portatore di bisogni ed interessi che, se consapevolmente espressi, pur non vincolando il giudice, non possono essere ignorati“.
La Corte d’appello ha succintamente concluso nel senso della non necessità e della non opportunità di procedere all’ascolto dei due minori. Ma proprio perché si trattava di minori di undici ed otto anni, capaci di discernimento anche se affetti da varie problematiche psicologiche, risultava necessario procedere al loro ascolto, anche considerato che l’ultima relazione aggiornata della Casa Famiglia, i cui operatori avevano proceduto a sentire la madre con i minori, risaliva a due anni prima.

Censure dunque, fondate, ricorso accolto.

Sabrina Caporale

 

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