Ritenute ammissibili quali fonte di prova le dichiarazioni rese dai bambini che accusavano la maestra di aver dato degli scappellotti ai suoi allievi

Il Tribunale ordinario di Trento – sezione per le controversie di lavoro – ha rigettato il ricorso proposto da un’insegnante di scuola dell’infanzia contro la sospensione dal servizio. La donna era accusata di aver dato degli scappellotti e delle tirate di orecchie ai suoi piccoli alunni. A ‘inchiodarla’ erano state proprio le dichiarazioni rese dai bambini, di età compresa tra i 3 e i 5 anni.

Per la maestra le sanzioni irrogate erano da ritenersi illegittime. Ciò in quanto le testimonianze de relato (altre insegnanti e genitori) erano fondate sulle affermazioni fatte dai bambini. Questi, a suo avviso, non potevano “essere assunti quali unici ‘testimoni’ a carico di un fatto così importante”.

Il Giudice, tuttavia, con la sentenza n. 16/2016, non ha ritenuto di aderire a tale argomentazione. Secondo il Tribunale, infatti, “se si dovessero ritenere le dichiarazioni degli alunni di una scuola d’infanzia inutilizzabili quali unica fonte di prova, gli illeciti disciplinari che si dovessero verificare in quell’ambito scolastico potrebbero essere perseguiti solamente se ripresi da una telecamera o solo se accidentalmente vi assiste un adulto”.

D’altra parte, “escludere la possibilità di ricorrere alle testimonianze del relato significherebbe condizionare l’esercizio della giurisdizione allo svolgimento di attività istruttoria pressoché certamente lesiva dell’equilibrio psico-sico di persone in tenerissima età (l’escussione in giudizio quali testimoni degli alunni di una scuola d’infanzia)”.

In base all’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, peraltro, la minore età di un teste non incide sulla capacità a testimoniare. Semmai sulla valutazione, e quindi l’attendibilità, della testimonianza resa.

La Suprema Corte, inoltre, ha anche chiarito che le deposizioni dei testimoni de relato in genere sono idonee ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice. Ciò in concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffraghino la credibilità. Il tutto pur avendo un valore probatorio attenuato perché indiretto.

Il giudizio di fatto, ricorda il Tribunale di Trento, consiste, in definitiva, nella scelta di quale, fra due o più versioni possibili della stessa vicenda concreta, debba essere considerata vera ai fini della decisione. Ciò equivale a stabilire quale descrizione dei fatti controversi risulti dimostrata sulla base delle prove acquisite.

 

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