Qual è la sanzione prevista dal nostro ordinamento nel caso di trasferimento di immobili abusivi? La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 8230/2019

La vicenda

Con atto notarile il ricorrente aveva acquistato due distinti appezzamenti di terreno, intestandone fittiziamente la nuda proprietà alla moglie e l’usufrutto alla suocera, ed aveva, poi, curato la ristrutturazione totale del fatiscente fabbricato rurale insistente su uno dei due fondi, sostenendo, da solo, l’intera spesa.
A seguito della crisi matrimoniale e in pendenza di giudizio di separazione personale, l’uomo aveva agito nei confronti delle due donne al fine di ottenere, tra l’altro, la declaratoria della simulazione dei suddetti acquisti, ma aveva appreso, in sede di trascrizione di tale domanda, che le convenute avevano venduto con atto notarile, gli immobili a terzi.
Ebbene, il ricorrente decideva così di citare in giudizio i compratori nonché il notaio rogante per sentir dichiarare che l’atto di compravendita era nullo, perché il fabbricato ceduto era stato interessato da vari e consistenti lavori, non regolarmente assentiti in quanto difformi dall’originario progetto autorizzato, ovvero inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 ce, in quanto compiuto in pregiudizio delle sue ragioni creditorie.

Il Tribunale adito rigettava la domanda e la decisione veniva integralmente confermata dalla Corte di appello di Napoli.

Per la cassazione della sentenza, proponeva ricorso l’originario ricorrente, il quale deduceva il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’abusività degli immobili oggetto del contratto di compravendita.
Ma la Seconda Sezione Civile cui è stata affidata la questione, ha ravvisato un contrasto nella giurisprudenza in relazione alla natura formale (in quanto derivante dalla mera assenza nel contratto delle dichiarazioni del venditore) o sostanziale (in quanto riferita alla difformità tra bene venduto e progetto assentito) della comminata nullità, ed ha, perciò disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite civili, auspicando, anche, un chiarimento sulla portata della nozione di irregolarità urbanistica, e sulla possibilità di applicare, in tema di validità degli atti traslativi, la distinzione tra variazione essenziale e variazione non essenziale dell’immobile dedotto in contratto rispetto al progetto approvato dall’autorità amministrativa.

La normativa edilizia

L’esercizio dello jus aedificandi, pur atteggiandosi come una concreta e peculiare manifestazione del diritto di proprietà fondiaria, soggiace all’osservanza di molteplici limitazioni e prescrizioni connesse a determinazioni della pubblica autorità, previste dalla legge.
Col testo unico dell’edilizia, di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono stati definiti i tipi d’intervento edilizio, è stato previsto uno specifico titolo abilitativo per ciascuna tipologia di intervento, e sono stati individuati i casi di attività completamente libere.
L’inosservanza dei precetti posti dalla normativa urbanistica, è stata da sempre variamente sanzionata sotto un profilo amministrativo, con la distruzione, o la sospensione dei lavori, o la demolizione del manufatto contrario al PRG o al titolo abilitativo o con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale e penale, con fattispecie contravvenzionali.

L’evoluzione giurisprudenziale in materia di abusivismo edilizio

In un primo momento, nonostante la realizzazione di lavori senza licenza costituisse un illecito sanzionato penalmente dall’art. 41 della L. 17 agosto del 1942, n. 1150 (anche prima delle sue modifiche da parte della L. n. 765 del 1967 art. 13), la giurisprudenza della Suprema Corte aveva escluso l’invalidità dei rapporti che avevano ad oggetto edifici realizzati in assenza di licenza, o la relativa incommerciabilità, reputando che, in assenza di espressa comminatoria, la nullità della compravendita non poteva ritenersi integrata sotto il profilo della illiceità dell’oggetto del contratto, per essere oggetto di tale negozio il trasferimento della proprietà della cosa, insuscettibile, nella sua essenza, in termini di valutazione di illiceità, attenendo tale qualificazione all’attività della sua produzione, in sé estranea al contenuto tipico delle prestazioni oggetto della compravendita (cfr. Cass. n. 2631 del 1984; n. 6466 del 1990).
Sicché la costruzione di un immobile senza licenza edilizia comportava unicamente l’illiceità dell’attività del costruttore, e poteva dar luogo ai rimedi civilisti della risoluzione per inadempimento, o della garanzia per evizione.
La L. n. 10 del 1977 ha, poi, introdotto all’art. 15, la comminatoria di nullità degli atti aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, sempreché dagli stessi non risultasse che l’acquirente fosse a sua volta, a conoscenza della mancanza della concessione.
Tale sanzione è stata valutata in termini di invalidità relativa, deducibile solo dal contraente in buona fede ignaro dell’abuso edilizio, e volto a tutelarne, ulteriormente, le ragioni e così consentirgli di ripetere il corrispettivo pagato, o di evitarne, comunque, il pagamento qualora non fosse stato ancora versato (cfr. Cass. n. 3350 del 1992; n. 4926 del 1993; n. 8685 del 1999).
Fino poi ad arrivare al citato Testo Unico dell’Edilizia.

La teoria della nullità formale

In riferimento alle disposizioni degli artt. 17 e 40 della L.n. 47 del 1985, la giurisprudenza di legittimità, (Cass. n. 8685 del 1999) nel rimarcare la differenza col pregresso regime, aveva sottolineato che dette norme avevano come scopo quello di reprimere a scoraggiare gli abusi edilizi e che, in ogni caso, la mancata indicazione nell’atto, da parte dell’alienante, degli estremi della concessione (ad edificare o in sanatoria), non avesse alcuna incidenza sullo stato di buona o mala fede dell’acquirente.
Si trattava, in questo caso di un’ipotesi di nullità assoluta, come tale suscettibile di esser fatta valere da chiunque vi avesse avuto interesse, rilevabile d’ufficio dal giudice ex art. 1421 c.c., e riconducibile all’ultimo comma dell’art. 1418 ce, quale ipotesi di nullità formale e non virtuale.
La natura formale di tale nullità è stata, poi, confermata dalla Cassazione con la sentenza. n. 8147 del 2000, che, dopo averne posto in evidenza il duplice obiettivo di soddisfare l’esigenza di tutela dell’affidamento dell’acquirente e l’esigenza di prevenzione degli abusi, ha osservato che l’indicazione nell’atto da parte dell’alienante dei titoli abilitativi costituiscono requisito formale del contratto, sicché è la loro assenza “che di per sé comporta la nullità dell’atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto”.

La teoria della nullità sostanziale

Tale interpretazione è stata seguita per molti anni; ma un primo segnale di cambiamento (cd. teoria sostanziale) si è avuto con la sentenza n. 20258 del 2009, nonché con la sentenza n. 23591 del 2013. Con tale decisione, si è, appunto, affermato che il contratto avente ad oggetto un bene irregolare dal punto di vista edilizio è affetto da nullità sostanziale.
Ciò è stato ritenuto, anzitutto, sulla base dello scopo perseguito dalla norma, che è stato individuato in quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico; inoltre, è stata posta in evidenza l’incongruità di un sistema che sanzioni con la nullità per motivi meramente formali atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico, o in corso di regolarizzazione, e consenta, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando alle parti interessate la possibilità di assumere l’iniziativa di risolverli sul piano dell’inadempimento contrattuale, o, addirittura, di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto ed immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunziasse al diritto a far valere l’inadempimento della controparte.

La teoria della nullità secondo le Sezioni Unite

Al fine di comporre l’esistente contrasto giurisprudenziale la vicenda in esame è stata sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite che, all’esito del giudizio, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
 “La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 ce, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità <>, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.”
 “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
In altre parole il Supremo Collegio ha inteso conformarsi alla mera interpretazione letterale della norma, così come prescritto dall’art. 12 delle preleggi. E per tali ragioni ha affermato che ritenere gli immobili compravenduti privi dei titoli urbanistici nell’atto di compravendita, tout court incommerciabili, costituisse un’analisi esegetica trascendente il significato letterale della norma in questione.
Perciò ha rigettato il ricorso principale e compensato le spese di giudizio.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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