Indennizzo si, indennizzo no: anche per la vaccinazione non obbligatoria (vaccinazione anti influenzale), ove sia dimostrato il nesso di causa, è dovuto l’indennizzo

Particolare rilievo assume  la pronuncia n. 268 depositata  il 14 dicembre 2017 (relatore Nicolò Zanon), con cui la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge n. 210 del 1992 nella parte in cui (art. 1, comma 1) non prevede il diritto a un indennizzo in favore di chiunque abbia subito una permanente menomazione dell’integrità psico-fisica a seguito della vaccinazione anti influenzale, purché sia provato il nesso di causalità tra l’una e l’altra.

La vicenda

Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte d’appello di Milano nell’ambito di un giudizio promosso dal Ministero della salute per impugnare la sentenza con cui il Tribunale meneghino aveva riconosciuto al ricorrente, in primo grado, il diritto all’indennizzo, a fronte della diagnosi della sindrome di Parsonage Turner, insorta a seguito di vaccinazione anti influenzale «fortemente incentivata ai pensionati della sua fascia di età nelle campagne di sensibilizzazione del Ministero della Salute».

L’indennizzo era stato negato originariamente sia dal centro medico, sia dal Ministero, poiché la vaccinazione in oggetto non è obbligatoria, ma solo raccomandata.

La Corte territoriale, innanzitutto, ritiene infondate le censure proposte dal Ministero della salute, relative alla mancata dimostrazione del nesso di causalità fra la vaccinazione e la patologia, affermando che l’esito della consulenza tecnica di ufficio sarebbe sostenuto dai «dati ricavabili dalla letteratura scientifica», che conducono a ritenere la sussistenza di una «correlazione causale» in termini di «probabilità» e sostiene  che, sebbene la vaccinazione anti influenzale non sia obbligatoria, essa «è stata oggetto di raccomandazione da parte del Ministero della Salute» e che il ricorrente rientra in una categoria di persone «ad aumentato rischio di malattia grave» (essendo «affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva»).

Richiama inoltre la sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale (oltre alle decisioni n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998 della stessa Corte), che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo anche nei casi in cui «la lesione alla salute sia derivata da un trattamento vaccinale non obbligatorio, bensì raccomandato dall’autorità sanitaria pubblica per ragioni di tutela della salute pubblica, e precisamente dalla vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia».

Tale estensione si giustifica, secondo la Corte territoriale, considerando che, «in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica vaccinale, resta del tutto irrilevante o indifferente che […] l’effetto cooperativo della popolazione sia riconducibile ad un obbligo o ad una persuasione». La Corte territoriale, in presenza di un dato letterale inequivoco che non consente indennizzo se non in presenza di menomazioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie, non condivide la decisione del giudice di primo grado, il quale aveva riconosciuto il diritto all’indennizzo attraverso una pretesa interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992.

In conseguenza, solleva questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.. E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale fossero dichiarate, «in gradato subordine, inammissibil[i], non rilevant[i] ed infondat[e]», ritenendo, in primis, che «l’influenza c.d. stagionale non assume né può mai assumere il carattere di una pandemia», cioè di una epidemia «la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata».

Ritiene la difesa statale, richiamando ampi passaggi della sentenza n. 107 del 2012 della Consulta, che il diritto all’indennizzo sia riconosciuto al singolo, quando costui si sia sottoposto a vaccinazione (obbligatoria o raccomandata) «in funzione della tutela di un interesse superiore», ossia quello della salute collettiva. Solo in tale prospettiva si giustificherebbe l’obbligo posto in capo alla collettività di farsi carico di eventuali conseguenze negative che derivino dalle vaccinazioni stesse.

La tecnica della obbligatorietà e della raccomandazione del trattamento vaccinale

Ebbene, secondo la Consulta l’ordinanza di rimessione non avrebbe dato sufficiente conto delle motivazioni che hanno sorretto la scelta, da parte del soggetto in causa nel giudizio a quo, di sottoporsi a vaccinazione raccomandata; ed infatti, ammesso che tali motivazioni siano rilevanti, qualunque riflessione su di esse comporta  una valutazione sulla natura della raccomandazione proveniente dalle autorità sanitarie e sulla sua incidenza nello spazio di autodeterminazione del singolo, richiedendo, quindi, un giudizio sul merito delle censure di legittimità costituzionale sollevate.

Con le sentenze n. 107 del 2012 (in relazione alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia), n. 423 del 2000 (con riferimento alla vaccinazione, allora solo raccomandata, contro l’epatite B) e n. 27 del 1998 (quanto alla vaccinazione, anch’essa allora solo raccomandata, contro la poliomielite), la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo, in presenza di una patologia irreversibile e previo accertamento del nesso causale tra questa e la vaccinazione, per le menomazioni permanenti derivanti dalle ricordate vaccinazioni, oggetto dei rispettivi giudizi principali.

In tema di trattamenti vaccinali, la tecnica dell’obbligatorietà e quella della raccomandazione possono essere sia il frutto di concezioni parzialmente diverse del rapporto tra individuo e autorità sanitarie pubbliche, sia il risultato di diverse condizioni sanitarie della popolazione di riferimento, opportunamente accertate dalle autorità preposte.

La libera determinazione individuale

Nel primo caso, la libera determinazione individuale viene diminuita attraverso la previsione di un obbligo, assistito da una sanzione. Tale soluzione non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se il trattamento obbligatorio sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche quello degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione dell’autodeterminazione del singolo (sentenze n. 107 del 2012, n. 226 del 2000, n. 118 del 1996, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

Nel secondo caso, anziché all’obbligo, le autorità sanitarie preferiscono fare appello all’adesione degli individui a un programma di politica sanitaria.

La tecnica della raccomandazione esprime maggiore attenzione all’autodeterminazione individuale e, pertanto, al profilo soggettivo del diritto fondamentale alla salute, tutelato dal primo comma dell’art. 32 Cost., ma è pur sempre indirizzata allo scopo di ottenere la migliore salvaguardia della salute come interesse (anche) collettivo.

In un caso e nell’altro esiste un’obiettivo essenziale che entrambe perseguono nella profilassi delle malattie infettive: ossia il comune scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale.

In questa prospettiva, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione.

La traslazione in capo alla collettività degli effetti dannosi

La Consulta ha riconosciuto che, sul piano degli interessi garantiti dagli artt. 2, 3 e 32 Cost., è giustificata la traslazione in capo alla collettività, anch’essa obiettivamente favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che eventualmente da queste conseguano.

La ragione determinante del diritto all’indennizzo, quindi, non deriva dall’essersi sottoposti a un trattamento obbligatorio, in quanto tale; essa risiede piuttosto nelle esigenze di solidarietà sociale che si impongono alla collettività, laddove il singolo subisca conseguenze negative per la propria integrità psico-fisica derivanti da un trattamento sanitario, obbligatorio o raccomandato, effettuato anche nell’interesse della collettività.

Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2,3 e 32 Cost.: perché le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo (sentenza n. 107 del 2012).

La vaccinazione anti influenzale rientra a pieno titolo tra quelle raccomandate e sono in particolare rilevanti i Piani nazionali di prevenzione vaccinale, che, affiancando la vaccinazione anti influenzale ad altri tipi di vaccinazioni raccomandate e indicando i rispettivi obiettivi di copertura, definiscono la complessiva programmazione vaccinale; le raccomandazioni del Ministero della salute adottate specificamente, per ogni stagione, con riferimento alla vaccinazione anti influenzale, le campagne informative istituzionali del Ministero della salute, oltre che delle Regioni.

Alla luce di tali considerazioni, la collettività deve dunque sostenere i costi del pregiudizio individuale, anche nel caso in cui la menomazione permanente sia derivata dalla vaccinazione anti influenzale. Per la Consulta sarebbe del resto irragionevole riservare a coloro che hanno aderito alle ricordate raccomandazioni delle autorità sanitarie pubbliche un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto a quanti abbiano ubbidito ad un precetto.

Né si può trascurare, ancora a giustificazione della traslazione a carico della collettività dell’indennizzo in questione, che la più ampia sottoposizione a vaccinazione quale profilassi preventiva può notevolmente alleviare il carico non solo economico che le epidemie influenzali solitamente determinano sul sistema sanitario nazionale e sulle attività lavorative.

Il riconoscimento del diritto all’indennizzo non è escluso dalla gratuità della somministrazione

Alla luce dei principi individuati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che fa espresso riferimento, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo, alla tutela della salute collettiva, il fatto che la raccomandazione sia accompagnata, per alcune categorie di soggetti, dalla gratuità della somministrazione, non potrebbe fondare alcuna limitazione del novero dei destinatari dell’indennizzo.

La specifica posizione di tali categorie di soggetti non elide affatto il rilievo collettivo che la tutela della salute assume anche nei confronti della popolazione in generale, la vaccinazione di tutti e di ciascuno contribuendo all’obiettivo della più ampia copertura, perseguito attraverso la raccomandazione. Del resto, se i vincoli di ordine finanziario possono giustificare limitazioni del novero dei soggetti cui la vaccinazione, in quanto inserita nei livelli essenziali di assistenza, sia somministrabile gratuitamente, di certo essi non giustificano alcun esonero dall’obbligo d’indennizzo, in presenza delle condizioni previste dalla legge.

Avv. Maria Teresa De Luca

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