Con la recentissima sentenza n°9251/2017, la Suprema Corte è tornata sul tema del diritto a nascere sani e della interruzione di gravidanza per malformazioni del feto.
Nello specifico, gli Ermellini hanno riconosciuto come infondato il diritto al risarcimento del danno azionato da una coppia il cui bambino è nato senza un arto, malformazione non diagnosticata in sede di ecografia morfologica.
Ebbene, sia i medici curanti che il centro diagnostico al quale la coppia si era rivolta, sono andati esenti da responsabilità in virtù di una considerazione tanto semplice quanto importante: la malformazione del feto non è tale da compromettere la salute psico-fisica e psichica della madre, né, tampoco, è tale da rendere esercitabile il diritto alla interruzione di gravidanza oltre il novantesimo giorno dall’inizio della gestazione.
Inoltre, proseguono gli Ermellini, ciò che assume ruolo primario ai fini dell’aborto, sono solo quelle patologie o malformazioni del feto che siano in grado di mettere seriamente in pericolo la salute della madre durante il periodo di gravidanza a nulla rilevando, quindi, ogni altra considerazione anche in riferimento al fatto che la coppia, messa prima a conoscenza della presenza della malformazione avrebbe potuto autodeterminarsi per l’aborto stesso.
Con questo ultimo concetto, la Corte ha voluto rimarcare la assoluta non praticabilità dell’aborto c.d. “eugenetico”, ovvero di quell’aborto praticato al solo scopo di veder nascere un figlio sano a prescindere. Tale diritto, come più volte chiarito, non è riconosciuto ai genitori e, del pari, non è riconoscibile al nascituro.
In sostanza, ancora una volta i Supremi Giudici devono trovarsi a sottolineare un concetto che dovrebbe essere ovvio: a meno che dalla prosecuzione della gravidanza non derivi un rischio per la salute della donna, non è possibile porre fine ad una vita nascente seppure “diversamente” perfetta quale quella del piccolo in questione. Aprire le porte a principi diversi, autorizzerebbe ogni singola coppia e l’intero sistema sociale, al perseguimento della perfezione assoluta mediante metodi di selezione della specie che evocano ricordi dolorosissimi nella storia europea, cosa questa che in un paese civile non è immaginabile.

                                                                                     Avv. Gianluca Mari

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1 commento

  1. Sembra di vivere in un altro mondo! E’ da quando esiste la legge 194(nei confronti della quale in un Reparto costituito all’epoca da 10 ginecologi io fui l’unico a dichiararmi non obiettore)che si è trovato l’escamotage di trasformare l’aborto eugenetico in terapeutico(ovviamente per la madre)con una semplice dichiarazione di un collega psichiatra.Paradossalmente se si fosse chiamata la pratica abortiva con il suo vero nome si sarebbero potuti limitare i casi in cui era eseguibile mentre così anche un sesso non desiderato può(o devo scrivere poteva) teoricamente sconvolgere mentalmente la madre a tal punto da richiedere ed ottenere,se certificato, l’interruzione della gravidanza. Ho fatto un caso limite ma per quanto riguarda la Sindrome di Down è la prassi tanto che è istituzionalizzata la pratica dello screening delle cromosomopatie e della eventuale amniocentesi che non ha evidentemente il solo scopo di sapere in anticipo la diagnosi rispetto alla nascita.Infine mi fa piacere che gli ecografisti odierni non vengano più condannati a risarcimenti stratosferici come avveniva a quelli più anziani i quali,sbagliando la morfologica, non consentivano ai genitori di esercitare i loro diritti che consistevano appunto nell’aborto in quanto non praticabile oltre la 25sima settimana(e qui l’ulteriore differenza con il vero aborto terapeutico che se finalizzato a preservare la madre da morte o grave infermità provocata dalla gravidanza è eseguibile in qualsiasi epoca gestazionale)Da quello che ho letto e da quello che ho scritto parrebbe proprio di essere di fronte ad un vero e proprio cambio di rotta giurisdizionale.

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