La Cassazione conferma la validità dell’accertamento della paternità anche quando il CTU acquisisce autonomamente reperti biologici presso strutture pubbliche, ritenendo infondate le censure sulla natura esplorativa e sulla violazione dei diritti fondamentali (Corte di Cassazione, I civile, ordinanza 17 giugno 2025, n. 16284).
I fatti
Il Tribunale di Udine (sent. n. 710/2022) dichiara giudizialmente la paternità naturale del ricorrente nei confronti del controricorrente. La sentenza della Corte d’appello di Trieste, conferma il primo grado.
I Giudici di appello hanno respinto le contestazioni mosse al CTU, quanto al rispetto di norme procedurali, per asserita violazione di regole e principi generali, tali da determinare, secondo l’appellante, la nullità della consulenza.
L’accertamento della paternità e contestazioni alla CTU
In particolare, hanno ritenuto infondata la doglianza concernente l’acquisizione in via autonoma da parte del CTU di materiale biologico del ricorrente presso istituti pubblici sanitari e l’utilizzo per le analisi del DNA e la natura esplorativa della consulenza, che sarebbe stata attuata in violazione dei principi inerenti i diritti fondamentali, personali e processuali.
A tale riguardo hanno rimarcato che il CTU non aveva fatto altro, nell’acquisire presso l’ospedale i reperti biologici utilizzati, che agire per rispondere al quesito assegnatogli dal Giudice esercitando facoltà a lui concesse con espressa autorizzazione, come emergente dal quesito posto con ordinanza fuori udienza depositata il 27 dicembre 2019. Inoltre ha evidenziato che alla successiva udienza di prestazione del giuramento del CTU in data 11 giugno 2020 il convenuto rappresentato dal suo difensore non avevano sollevato rilievi critici al quesito formulato dal Giudice.
Inoltre, la CTU percipiente svolta non poteva ritenersi esplorativa perché il CTU aveva richiesto e acquisito i reperti presso struttura ospedaliera ricadente nella competenza ex provinciale di Udine, città di residenza dell’appellante.
Il conferimento di una CTU percipiente per il raffronto del DNA ai fini dell’accertamento della paternità biologica non aveva invertito l’onere della prova perché il presunto padre non aveva dato il consenso al prelievo e l’attore, in assenza del consenso del presunto padre, non aveva la possibilità di acquisire in altro modo elementi probatori. L’attore in primo grado aveva fornito anche altri elementi di prova orale e documentale che, unitamente al diniego al prelievo ematico del convenuto, confermavano il pieno assolvimento degli oneri di allegazione ed escludevano che la CTU avesse carattere esplorativo.
L’intervento della Cassazione
Il presunto padre deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per effetto della nullità assoluta – ovvero comunque nullità relativa non sanata – della CTU espletata in primo grado.
Secondo la tesi dell’uomo, anche nel corso di un processo intentato per la dichiarazione giudiziale di paternità il convenuto conserva la facoltà di non assoggettarsi ai prelievi disposti dal Giudice. Il rifiuto sarebbe pertanto giustificato e la Consulenza tecnica fondata sul prelievo forzoso dei reperti biologici sarebbe nulla in quanto, per un verso essa diviene, non più percipiente, ma esplorativa e caratterizzata da connotazioni investigative illecite e, per altro verso, essa vale ad esentare l’attore dall’onere di provare i fatti costitutivi della domanda. Sostiene che consulenza tecnica d’ufficio è nulla in quanto avente natura esplorativa, investigativa e perquisitoria perché, senza il consenso del ricorrente, il CTU aveva ricercato ed acquisito un reperto organico presso l’azienda sanitaria, ai fini dell’esame del DNA. Lamenta anche la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 6, 8 CEDU, 7 CDFUE, nonché degli artt. 61, 112, 115, 194 c.p.c.
Le doglianze vengono disattese in toto.
La CTU, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il Giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento. Il Giudice può affidare al Consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti, ma anche quello di accertare i fatti stessi.
Le Sezioni Unite sui poteri del CTU
In tema, le Sezioni unite (n. 3086/2022), dopo aver rimarcato che la condizione del CTU si è evoluta in quella di ausiliario di giustizia, perché la sua attività è prestata in funzione del superiore interesse della giustizia quale si realizza nel fatto che il giudice possa pronunciare la propria decisione anche in grazia delle conoscenze tecniche specifiche acquisite tramite il consulente (cfr. artt. 61 e ss. cod. proc. civ.), hanno precisato che “l’attività consulenziale è, nella sua veste ordinaria, un’attività tipicamente interna al processo, che nel processo rinviene la propria ragione giustificativa in funzione della necessità di colmare il deficit conoscitivo che si delinea in capo al giudice in relazione alla materia oggetto di lite”. Di conseguenza, lo scopo è quello di offrire al Giudice una lettura mediata dalla scienza allo scopo di colmare l’attività probatoria.
Questo significa che al CTU è permesso procedere a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell’interrogazione giudiziale.
La CTU può dichiararsi nulla solo se svolta al di fuori dei limiti della domanda e contrasta con essa, scaturendone perciò una ragione di nullità che è rilevabile d’ufficio o, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c.
Nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità. In questo contesto la consulenza ematologica è decisiva come strumento istruttorio in ordine all’accertamento della paternità e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa.
Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici
Inoltre, la Cassazione ricorda che il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato adducendo la violazione della libertà personale o l’esigenza di salvaguardare la propria privacy tanto più in considerazione del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, e che il sanitario chiamato dal Giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della legge.
Difatti, secondo orientamento ormai consolidato il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., perché è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti. Da qui la possibilità di trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre.
Concludendo, non vi è stata alcuna delle violazioni di legge contestate risultando conferita dal Giudice la consulenza tecnica entro i limiti e per le finalità istruttorie a carattere percipiente, come sopra dettagliate.
In particolare, la Corte di secondo grado ha diffusamente esaminato la metodica seguita nell’espletamento dell’incombente ed i risultati conseguiti dal Consulente dai quali si evince che proprio l’accertamento genetico di compatibilità ha fondato la dichiarazione giudiziale di paternità e non ha reso necessarie ulteriori acquisizioni probatorie.
Avv. Emanuela Foligno