La signora, operata nel 2004, avrebbe convissuto con un ago chirurgico nell’addome fino al 2018, dopo anni trascorsi tra dolori improvvisi e persistenti

Avrebbe convissuto per più di 14 anni con un ago chirurgico nell’addome. Un corpo estraneo di tre centimetri e mezzo, che sarebbe lasciato lì nel corso di un intervento in laparoscopia cui la paziente, sessantenne di Ravenna, si era sottoposta nel 2004 in una struttura sanitaria di Bologna.

Fin dalle dimissioni la donna avrebbe cominciato a lamentare dolori improvvisi e persistenti al fianco destro, giungendo l’anno successivo anche a farsi asportare l’appendice. Ma la nuova operazione non aveva risolto il problema. Come riporta il Resto del Carlino solamente nel 2016, dopo anni di antidolorifici e accessi in Pronto soccorso, una risonanza magnetica aveva evidenziato la “probabile presenza di materiale metallico”, ovvero “ago chirurgico verosimilmente residuato da pregresso intervento sull’addome”. Successivi esami avrebbero poi confermato che la “formazione filiforme di 35 mm, di aspetto ricurvo e densità metallica”, si era fermata “a livello del tessuto adiposo addominale in emi-addome sinistro”. Nel 2018, finalmente, l’ago era stato rimosso.

La signora, in seguito alla scoperta, ha avviato l’iter per ottenere il risarcimento del danno subito. I suoi legali hanno depositato presso il Tribunale civile di Ravenna una richiesta di accertamento tecnico preventivo al fine di fare luce sulle eventuali responsabilità dell’ospedale in cui venne condotto il primo intervento, ormai circa 17 anni fa, e valutare le conseguenze, anche piscologiche, sofferte dalla donna, costretta a modificare le proprie abitudini di vita, con lunghi periodi di assenza dal lavoro rinunce a ferie e viaggi.

La perizia di parte avrebbe accertato che la presenza dell’ago, per via delle sue dimensioni, sarebbe da ricondurre proprio all’operazione eseguita nel capoluogo felsineo. E, secondo il medico legale, sarebbe stata proprio la presenza dello strumento metallico a determinare il processo infiammatorio e il persistente dolore patito dalla paziente. L’esperto riterrebbe, inoltre, “che alla base del quadro chirurgico che condusse alla diagnosi di appendicite acuta, vi fosse in realtà proprio la ritenzione del corpo estraneo”.

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