Amputazione dell’avambraccio impigliato nel macchinario, datore condannato

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rottura pannelli capannone

Confermata la responsabilità del datore per l’infortunio occorso a un dipendente che aveva subito l’amputazione dell’avambraccio a causa di un infortunio sul lavoro

Era stato ritenuto responsabile, in sede di merito, del reato di cui all’art. 590 cod. pen. per avere, in qualità di datore di lavoro, cagionato per colpa, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali gravissime (amputazione dell’avambraccio destro) a un dipendente impiegato nel montaggio di impianti esterni con la qualifica di montatore, non osservando le procedure aziendali di protezione previste per gli organi in movimento su attrezzature e macchine.

In particolare l’imputato, benché presente all’intera operazione di manutenzione e controllo di verifica del funzionamento del trasportatore a catena denominato “estrattore speciale a catena BTF 600 ribassato matr. 0186-10-11 del 2011”, e nonostante la verifica di funzionamento fosse da svolgersi con la macchina in movimento e il prodotto all’interno, non considerava il grave rischio di impigliamento/cesoiamento e non provvedeva a dotare il mezzo di misure di protezione e segregazione materiali (cader trasparenti barriere distanziatrici o altro) idonei a impedire il contatto anche accidentale di parti del corpo del lavoratore con il nastro o altre zone di pericolo.

Nell’impugnare la sentenza della Corte territoriale, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, vizio di motivazione per aver omesso di valutare il comportamento del lavoratore come abnorme, non dando il giusto rilievo alle dichiarazioni del danneggiato stesso, che aveva ammesso che l’infortunio era dovuto ad un suo gesto al quale non era riuscito a dare spiegazioni.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 28721/2021, ha tuttavia ritenuto infondata la doglianza del ricorrente.

Dal Palazzaccio hanno ricordato che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a determinare l’evento, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, “richiede che la condotta si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso”. Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l’infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità.

Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli.

La Corte territoriale, nel caso in esame, aveva fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti; aveva evidenziato che la condotta del lavoratore – che vagamente ha cercato di ricostruire l’incidente affermando “di essersi sbilanciato appoggiando la mano sul coperchio” – non era idonea ad escludere la responsabilità del datore di lavoro che aveva omesso di adottare l’adozione delle cautele espressamente contemplate dal Pos e dalle istruzioni relative alla sicurezza che avrebbero neutralizzato il rischio di contatto tra l’operatore e la parte mobile del macchinario anche a fronte di un portamento imprudente di quest’ultimo.

La redazione giuridica

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