Respinto il ricorso di un’azienda contro la reintegra di un lavoratore licenziato per aver rifiutato di sottoporsi all’accertamento tecnico voluto dall’azienda al fine di verificare il suo stato di salute in seguito alle numerose assenze per malattia

La Cassazione, con la sentenza n. 16251/2020, si è pronunciata sul contenzioso tra un’azienda e un proprio dipendente, insorto in seguito al licenziamento per giusta causa intimato a quest’ultimo nel novembre del 2016. La società, a seguito di numerose assenze per malattia del lavoratore aveva adito il Tribunale al fine di promuovere un a.t.p. (accertamento tecnico preventivo) diretto ad accertare lo stato di salute del dipendente che, costituitosi, tuttavia si dichiarava indisponibile a sottoporsi all’esame. Il giudice aveva quindi dichiarato il non luogo a provvedere.

Successivamente il lavoratore aveva ricevuto una contestazione disciplinare da parte della società, con cui si censurava il suo rifiuto di prestare il consenso a sottoporsi agli accertamenti, rendendo così impossibile la verifica del suo stato di salute e “giustificando ulteriormente i sospetti circa l’effettiva sussistenza degli episodi morbosi”.

La datrice, non accogliendo le giustificazioni del lavoratore, procedeva quindi al suo licenziamento per giusta causa.

In sede di opposizione al provvedimento, il giudice osservava come le numerose assenze per malattia del lavoratore nel corso del 2016, attestate da certificati emessi da medici diversi e poste a ridosso dei weekend e spesso alternate a ferie e permessi nei mesi di luglio e agosto 2016, avessero ingenerato nella convenuta dubbi circa l’effettività delle malattie stesse, ritenendo inoltre che il rifiuto del ricorrente a sottoporsi a CTU nell’ambito del giudizio per ATP dovesse essere qualificata come una rilevante violazione dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sul lavoratore.

La Corte di appello, in totale riforma della sentenza impugnata, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, condannando l’azienda  a reintegrare il reclamante nel precedente posto di lavoro con le medesime o equivalenti mansioni ed a corrispondergli l’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del recesso a quello dell’effettiva reintegrazione.

La pronuncia di secondo grado è stata confermata anche dalla Suprema Corte. I Giudici Ermellini hanno infatti evidenziato che l’a.t.p. è uno strumento previsto dall’art.445 bis c.p.c. per deflazionare il contenzioso in materia previdenziale e non certo per consentire al datore di lavoro di controllare lo stato di salute dei propri dipendenti; è dunque previsto come condizione di procedibilità nelle controversie, mentre per lo scopo voluto nella fattispecie dal datore di lavoro sovviene l’art.5 L.n.300\70 secondo cui: “sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente”.

Il controllo delle assenze per infermità – sottolineano dal Palazzaccio – può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha, inoltre, facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

“Il nuovo art.445 bis c.p.c. prevede quindi come condizione di procedibilità nelle controversie previdenziali la presentazione, unitamente al ricorso giudiziario, di una istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa previdenziale fatta valere, restando così fermo il fatto che si tratta di un onere gravante su chi intende richiedere in giudizio una prestazione a carico dell’INPS, e non certo di un nuovo istituto, che si affiancherebbe senza alcun fondamento normativo agli ampi e diversi strumenti già indicati nel detto art.5 S.L., che consente al datore di lavoro il controllo circa lo stato di salute dei suoi dipendenti ovvero la veridicità delle malattie da essi denunciate come causa di legittime assenze dal lavoro”.

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