Ai fini del reato di atti persecutori occorre valutare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate
La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, aveva riqualificato il fatto originariamente contestato all’imputata quale delitto di atti persecutori, nel diverso reato di molestie, ai sensi degli artt. 81 e 660 c.p., riducendo la pena inflitta a mesi quattro di arresto.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica di Brescia, denunciando la violazione di legge in relazione all’art. 612 bis c.p..
La Corte, pur avendo accertato la commissione delle condotte descritte nel capo dell’imputazione, aveva ritenuto che non fosse configurabile il delitto di atti persecutori in difetto di uno dei tre eventi alternativamente contemplati dalla norma incriminatrice; secondo la Corte territoriale, il mutamento delle abitudini di vita doveva attenere ad aspetti “fondamentali” e non era quindi realizzato dalla necessità per la vittima di ispezionare il ballatoio dallo spioncino prima di uscire per evitare di incontrare l’imputata, e neppure era parsa sufficiente la preoccupazione che il contenuto della buca delle lettere, invaso dalle oscenità immesse dalla imputata, potesse turbare il proprio figlio minorenne.
Il ricorso per cassazione
Al contrario, per la pubblica accusa dovevano considerarsi sufficienti ad integrare il reato di stalking, le precauzioni adottate dalla persona offesa per evitare di incontrare l’imputata e per prevenire contatti fra essa e il figlio minore, nel timore di danni per la sua incolumità psichica.
Il ricorso è stato accolto, per le ragioni che seguono (Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, sentenza n. 10111/2018).
“Il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. – hanno ribadito gli Ermellini – è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di danno consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” (Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014).
Nella vicenda in esame, la Corte d’appello aveva escluso che le pur sgradevoli condotte moleste poste in essere dalla imputata nei confronti della persona offesa potessero generare in quest’ultima stati di ansia o paura o addirittura fondati timori per l’incolumità propria o altrui; la corte di merito aveva però, riconosciuto l’esistenza di un cambiamento di abitudini da parte della vittima, ravvisato nelle precauzioni adottate di ispezionare il pianerottolo dallo spioncino prima di uscire, onde verificare l’assenza dell’imputata e, sia pur implicitamente, in quelle relative all’apertura della cassetta della posta per il timore di missive perturbatrici del figlio minorenne.
Tuttavia, tali modifiche – per i giudici dell’appello – non potevano ritenersi rilevanti per la configurazione degli atti persecutori, dovendo piuttosto qualificarsi come delle semplici molestie, “che pur sempre producono un effetto perturbatore nel soggetto molestato”.
Invero, in una recente pronuncia la Cassazione ha affrontato il tema in questione affermando che “in tema di atti persecutori, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all’art. 612 bis c.p., occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate” (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014).
Ebbene, nel caso concreto le descritte modifiche di abitudini erano “sicuramente apprezzabili e anzi piuttosto significative, anche se non attinenti ad aspetti fondamentali dell’esistenza (fatto questo, come si è detto, normativamente irrilevante)”.
La decisione
“Le necessità di ispezionare preventivamente lo spazio comune condominiale antistante la propria abitazione, prima di ogni uscita, onde evitare spiacevoli incontri, determina una modifica di abitudini e un consistente tasso di disturbo, incidendo sulla normale confidente tranquillità con cui le persone usano utilizzare le aree, protette e riservate, degli spazi comuni condominiali”.
Analoga valutazione è stata fatta con riferimento alle modalità di utilizzo della cassetta delle lettere, “che viene normalmente aperta senza particolari cautele”, mentre nel caso in esame “era divenuta un’attività da eseguire con particolari precauzioni finalizzate alla protezione del figlio minore”.
Per queste ragioni, la Corte ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame, limitatamente alla qualificazione giuridica del reato contestato e alle relative conseguenze.
Avv. Sabrina Caporale
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