Attraversa a piedi l’autostrada e viene investita, di chi è la responsabilità?

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La donna attraversa a piedi l’autostrada A4 in prossimità dello svincolo e viene investita perdendo la vita. Alla vittima viene attribuita la responsabilità per i 2/3 e la Cassazione conferma (Corte di Cassazione, III civile, 5 novembre 2024, n. 28365).

La vicenda giudiziaria

Assicurazione e proprietario-conducente del veicolo investitore vengono citati a giudizio dai familiari della vittima per il ristoro dei danni patiti iure proprio.

La domanda risarcitoria, proposta sul presupposto che la responsabilità esclusiva dell’occorso fosse da addebitare esclusivamente all’automobilista, non avendo egli – secondo la tesi degli attori – tenuto in funzione i fari di profondità, come prescritto dall’art. 153 CdS, e comunque non osservato una velocità tale da permettergli di avvistare il pedone, veniva rigettata in primo grado.

Il Tribunale ascriveva la causa dell’evento mortale interamente al comportamento della vittima che, per raggiungere la stazione di servizio, situata in corrispondenza della carreggiata opposta a quella in cui si trovava, non utilizzava il sottopassaggio ivi esistente, procedendo, invece, all’attraversamento dell’autostrada.

In secondo grado, la Corte di appello affermava che il sinistro andava ascritto alla concorrente responsabilità della donna per 2/3, che attraversava l’autostrada in maniera del tutto imprudente in un luogo vietato e omettendo di dare precedenza all’autovettura che sopraggiungeva, ma anche dell’automobilista nella misura di 1/3 che non aveva assolto all’onere probatorio di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

In particolare, il secondo Giudice sottolineava che l’automobilista non aveva in alcun modo frenato (non risultando tracce sull’asfalto come accertato dai verbalizzanti) o messo in atto una qualsiasi manovra di emergenza, così come quella relativa alla conformazione della strada (rettilinea), e ciò denotava una condotta di guida non del tutto prudente ed attenta.

Il ricorso in Cassazione

In Cassazione viene lamentata la ripartizione di tale responsabilità e l’automobilista sottolinea che l’addebito della quota minoritaria di responsabilità sia errato non essendo stato considerato:

  • a) che il veicolo investitore era dotato di ABS, vale a dire quel sistema automatico che evita il bloccaggio delle ruote, garantendone la guidabilità durante le frenate e, dunque, non lasciando traccia delle stesse.
  • b) Che – considerata la velocità del veicolo (pari a 130 Km/h), nonché quella del pedone, il quale procedeva a passo svelto – lo spazio a disposizione dell’automobilista per frenare, pari a 81 metri, risultava inferiore a quello di evitabilità dell’impatto, corrispondente a 131 metri, sicché sarebbe stato impossibile evitare l’urto, pur con pronto avvistamento della donna e con altrettanto pronta frenata.
  • c) Che la visibilità era oltremodo preclusa dall’oscurità del luogo, essendosi il sinistro verificato in orario notturno.

Inoltre la Corte avrebbe compiuto un errore di diritto nell’applicazione della regola di cui all’art. 2054 c.c. perché, pur avendo constatato l’imprevedibilità della condotta del pedone, e con essa l’impossibilità da parte del conducente di osservare i movimenti dello stesso per la velocità dell’attraversamento e per la scarsa illuminazione, nonché, infine, la conformità della condotta dell’automobilista alle regole del codice della strada e a quelle di comune prudenza, ha egualmente gravato il conducente di un onere che non gli competeva, ovvero di dimostrare l’inevitabilità dell’investimento, così conferendo alla responsabilità di cui all’art. 2054, comma 1, cc natura oggettiva.

Il ricorso viene dichiarato inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.

L’intervento dei giudici di Cassazione

I Giudici di appello hanno riconosciuto la concorrente responsabilità del veicolo – sebbene nella misura di un terzo – per non avere dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. In particolare, è stata posta in evidenza la circostanza l’assenza totale di tracce di frenata, o messo in atto una qualsiasi manovra di emergenza.

Ebbene, se la presenza del sistema ABS sull’auto e l’assenza di illuminazione del tratto di strada integrano circostanze in senso storico-naturalistico, opinabile è, invece, la riconduzione alla nozione di fatto della circostanza per cui lo spazio a disposizione dell’automobilista per frenare, pari a 81 metri, risultava inferiore a quello di evitabilità dell’impatto, pari a 151 metri. Si tratta, per vero, dell’esito di un giudizio tecnico, svolto nel proprio elaborato dal perito del PM nel procedimento penale a carico del conducente del veicolo.

Il ricorrente si è limitato a dedurre i fatti di cui – a suo dire – sarebbe stato omesso l’esame (e la loro asserita decisività), nonché, con essi, il dato, testuale o extratestuale, da cui i medesimi risulterebbero esistenti (nella specie, la suddetta perizia del PM), senza, però, precisare il come e il quando tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale.

L’investitore deve dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno

La mera produzione della perizia non è certo sufficiente a determinare, in carenza di allegazioni specifiche basate su di essa (e, in particolare, delle emergenze alle quali fa riferimento il motivo), il dovere del Giudice di appello di esaminare i fatti. Parte ricorrente avrebbe dovuto allegare di averli evidenziati con l’atto di costituzione in appello od eventualmente, argomentare riguardo ad essi nella conclusionale.

Ciò posto, venendo alla asserita lamentata violazione di legge, stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all’art. 2054, comma 1, cc, ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso colposo del pedone investito occorre accertare, in concreto, la sua percentuale di colpa e ridurre progressivamente quella presunta a carico del conducente, però l’investitore deve dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, tenendo conto che, a tal fine, non rileva l’anomalia della condotta del soggetto investito, visto che occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente abbia adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, con conferma del secondo grado.

Avv. Emanuela Foligno

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