Respinta in Cassazione l’istanza di un gallerista che si opponeva al decreto ingiuntivo del suo legale per il pagamento del compenso in seguito a una causa di risarcimento del danno

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7309/2017, si è pronunciata sulla lite tra un avvocato e il suo cliente, un gallerista che aveva fatto causa al condominio in cui aveva sede la sua attività, lamentando che per via della rottura di un tubo di scarico, lo studio si era allagato provocando ingenti danni alle sue duemila opere d’arte.
L’uomo, tuttavia, a fonte di una richiesta di risarcimento pari a 26 miliardi di lire, aveva ottenuto poco più di 9mila euro in quanto non era stato provato il nesso di causalità tra l’allagamento e i danni riportati dalle opere d’arte presenti in galleria. Di qui il contenzioso con il legale, il quale aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo contro l’assistito per chiedere il compenso dell’attività svolta, per una somma pari a circa il quadruplo di quella ottenuta dal gallerista nel processo.
Il cliente aveva contestato il valore della causa in base al quale era stata elaborata la parcella e sostenuto la responsabilità professionale dell’avvocato per una serie di mancate iniziative, quali la mancata articolazione di prova testimoniale sulla circostanza che i quadri fossero presenti nella galleria al momento dell’allagamento e la mancata richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio.
La vicenda è approdata in Cassazione dopo che il cliente aveva visto respinte le sue argomentazioni in sede di merito, ma anche la Suprema Corte ha ritenuto infondate le sue pretese. Per gli Ermellini, infatti, il cliente può legittimamente rifiutarsi di corrispondere il compenso all’avvocato quando costui abbia espletato il proprio mandato incorrendo in omissioni dell’attività difensiva che, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, risultino tali da aver impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile.
Nel caso in esame, tale verifica risultava fondamentale in quanto il ricorrente, nel proporre opposizione al decreto ingiuntivo, aveva sollecitato non solo l’affermazione della inesistenza del diritto del professionista al compenso richiesto per effetto del suo inadempimento, ma aveva anche richiesto la condanna alla restituzione di quanto già corrisposto per l’esecuzione della prestazione professionale.
La Cassazione ha ribadito quanto affermato in precedenti giudizi, ovvero che “la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurare alla natura dell’attività esercitata”.
Il professionista, dunque, non può e non è tenuto a garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente; il danno derivante dalle sue eventuali omissioni è ravvisabile solo se, in base a criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e immune da vizi logici e giuridici.
Le conclusioni della Corte d’appello, in relazione alla vicenda esaminata, affermavano che non era stato dimostrato che se la prova testimoniale fosse stata dedotta e ammessa, il ricorrente stesso avrebbe ottenuto l’importo che si attendeva o comunque un importo sensibilmente superiore a quello riconosciuto dal Tribunale nella causa avente a oggetto i danni arrecati dall’allagamento alla galleria d’arte.
L’appellante, inoltre, non aveva neppure spiegato quale avrebbe dovuto essere, esattamente, il contenuto della prova testimoniale diretta a dimostrare i danni subiti dalle opere d’arte custodite nella galleria, né aveva offerto alla Corte elementi tali da dimostrare che la prova testimoniale per dimostrare i danni avrebbe avuto successo. Infine, non aveva neppure dimostrato, seppur approssimativamente, quali e quante opere fossero rimaste custodite nell’immobile e quante, in conseguenza dell’allagamento, erano rimaste danneggiate.
In conclusione i Giudici del Palazzaccio hanno quindi ribadito il principio secondo cui il cliente che vuole essere risarcito dal suo avvocato, o sottrarsi al pagamento dell’onorario o ancora riottenere le somme anticipategli, dovrà provare che se il professionista avesse tenuto la diligenza richiesta egli avrebbe vinto la causa. v

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