Ciò che rileva nella responsabilità del custode è che l’evento dannoso si sia verificato all’interno di una situazione di macroscopica insidiosità della cosa (Cassazione Civile, Sez. VI, 24/03/2021 n. 8216)

La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado che rigettava la domanda risarcitoria proposta dai genitori della bambina danneggiata per i danni subiti a causa di una caduta nella struttura alberghiera allorquando, durante un soggiorno di vacanza della famiglia a Sharm el-Sheikh, trovandosi nei pressi della piscina, inciampava sul ceppo di un alberello all’interno di un prato, riportando una ferita alla gamba destra.

Il Giudice d’Appello riteneva insussistenti i presupposti della invocata responsabilità ex art. 2051 c.c., della struttura alberghiera.

In particolare, veniva evidenziato:

  • del tutto naturale la presenza di un arbusto all’interno di una aiuola, da non considerarsi luogo specifico su cui transitare;
  • le foto prodotte “propongono una panoramica generale dei luoghi di causa e non riescono a descrivere i tratti peculiari della vicenda oggetto di giudizio, non essendo stato indicato in modo specifico il luogo nel quale si è verificato l’incidente”;
  • presupponendo la responsabilità da cose in custodia (a) una alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determini la configurazione della c.d. insidia o trabocchetto e (b) la imprevedibilità ed invisibilità di tale alterazione da parte del danneggiato, entrambi tali presupposti difettano nella specie, per essere “del tutto naturale che all’interno di una aiuola possano rinvenirsi arbusti, radici od altro materiale legnoso, mentre, sotto altro aspetto, il comportamento del soggetto dovrebbe essere adeguato alla situazione dei luoghi; con la ulteriore conseguenza che, trattandosi nel nostro caso di una minore di circa quattro anni, avrebbe dovuto essere più stringente la sorveglianza da parte dei genitori”.

La vicenda approda in Cassazione dove i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e rilevano che al danneggiato incombe soltanto l’onere di dimostrare il rapporto causale fra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o dalle caratteristiche intrinseche, spettando al convenuto dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore nella causazione dell’evento, con la conseguenza che il Giudice di merito avrebbe dovuto valutare non solo se la condotta della vittima fosse stata negligente, ma anche e soprattutto se detta condotta fosse prevedibile da parte del custode.

Il motivo è infondato.

E’ pacifico, in materia di responsabilità per cose in custodia che:

“a) l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicchè incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;

b) la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso;

c) il caso fortuito, il quale può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere;

d) la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;

e) ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro; questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre Cass. 12/11/2020, n. 25460; 29/01/2019, n. 2345; 03/04/2019, n. 9315) e che sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno, devono ritenersi rispettato nella specie.”

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

Difatti, è stata rilevata la sussistenza di un caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso rappresentato dalla condotta della vittima, bambina di tenera età, caduta nella struttura alberghiera nonostante la piena prevedibilità dell’ostacolo in ragione del luogo ove esso era posto (un’aiuola) di per sé non deputato al transito.

Le argomentazioni dei ricorrenti sono errate poiché postulano la rilevanza di un coefficiente colposo, in capo al custode, che è invece estraneo alla fattispecie astratta di responsabilità per custodia, che si colloca, invece, sul piano oggettivo del rapporto causale tra cosa in custodia e danno.

La prevedibilità da parte del custode dell’uso anomalo della cosa non rileva, bensì rileva che l’evento dannoso si sia verificato all’interno di una situazione di macroscopica insidiosità della cosa.

Per tali ragioni La Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Avv. Emanuela Foligno

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