Intervista a Rosaria Ferrara, psicologa ed esperta di autismo, sul caso del piccolo Alessandro, bimbo di 11 anni annegato a Maccarese, nei pressi di Roma, per cause ancora da chiarire

Un bambino di 11 anni è morto annegato nel canale di irrigazione in una zona agricola di Maccarese, dopo essere stato a pranzo dai nonni lunedì 3 ottobre 2016. A estrarre il corpo dall’acqua un poliziotto del commissariato di Ostia che stava andando a prendere il figlio a scuola nel pomeriggio. I lunghi tentativi di rianimarlo sono stati vani. Sul posto è intervenuta anche l’eliambulanza da Viterbo. Sul caso è stato aperto un fascicolo dalla Procura di Civitavecchia.

Il motivo è che nei mesi scorsi il caso dei piccolo Alessandro era stato segnalato a causa di una situazione familiare disagiata. Il bambino, infatti, aveva annunciato la sua decisione di togliersi la vita. «Non ce la faccio più, ora mi ammazzo» aveva scritto. Aveva inoltre riferito che i genitori si drogavano davanti a lui e gli procuravano violenze, anche se i primi  rilievi del medico legale non ne evidenziano i segni.

Sulla vicenda stanno ora approfondendo gli investigatori e solo l’autopsia potrà chiarire le cause del decesso. Per il momento, nessuna pista è esclusa, nonostante ci siano due testimonianze opposte. Una sostiene che con Alessandro ci fosse una persona, l’altra che il ragazzino fosse da solo.

I genitori del piccolo Alessandro sono separati da tempo e la madre fa le pulizie a ore, mentre il padre è spesso disoccupato. Il bambino, iscritto alla prima media, era seguito da un’insegnante di sostegno e dall’assistente educatrice culturale, figura che affianca gli alunni con problemi come la disabilità e disturbi cognitivi.

Una diagnosi insomma poco chiara e una situazione familiare difficile, anche se l’avvocato della madre di Alessandra sottolinea che la donna non ha mai fatto uso di droga e che le scene a cui il piccolo avrebbe assistito non sono mai avvenute.

Quel giorno però Alessandro aveva espresso la volontà di farla finita e la settimana prossima si sarebbe dovuta svolgere un’udienza davanti al Tribunale dei Minori per approfondire la vicenda con i servizi sociali.

Atti di autolesionismo che avevano spinto le insegnanti a lanciare l’allarme.  In una relazione del febbraio 2015 consegnata dal dirigente della sua scuola elementare si parla di «assenze ripetute in classe» e «dipendenza mentale indotta da tv, cellulare e tablet». E ancora: «aggressività», «isolamento», «emarginazione», «opposizione ai richiami» e «conflitti con i docenti». Un ragazzo difficile e ricordato come un bambino solitario che vagava per conto suo invece di giocare con gli altri.

Responsabile Civile ha raggiunto la dottoressa Rosaria Ferrara, psicologa ed esperta di autismo e curatrice di un blog molto seguito dalla stessa mamma di Alessandro, che la dottoressa definisce molto attenta alle problematiche dei minori anche per una precedente esperienza di maltrattamento del figlio alla scuola materna.

Dottoressa Ferrara, Alessandro era in attesa di una diagnosi più precisa e avrebbe dovuto sottoporsi a breve a dei test per scoprire eventuali tratti autistici. Non è forse un po’ tardi per questo tipo di diagnosi?

Effettivamente sì. Il bambino aveva già un’insegnante di sostegno, il che dimostra l’evidenza di un disturbo cognitivo e comunque di un disagio. C’erano presenti più che altro i tratti di una disabilità, più che una disabilità vera e propria. In effetti, in una precedente relazione, le insegnanti delle elementari già avevano evidenziato dei problemi. Un autismo severo si intercetta di solito già intorno ai diciotto mesi, anche se in Italia per una diagnosi può passare molto tempo. In questo caso non credo si tratti di autismo serio, ci sarebbe stata una diagnosi chiara e non so nemmeno se Alessandro avesse dei tratti autistici o una disabilità cognitiva che lo comprometteva nella relazione con gli altri, nella comunicazione in diverse sfere. Sicuramente è molto tardi arrivare a questa età senza una diagnosi precisa. Tuttavia il quadro fornito dalle insegnanti – aggressività, isolamento, emarginazione, autolesionismo – rientra nell’ambito dell’autismo. Si parla di spettro autistico perché la fenomenologia in cui l’autismo si esprime è estremamente vario e va da forme più lievi fino a forme più severe con una sintomatologia più esasperata che vede maggior isolamento e maggiori difficoltà comunicative. È importante aggiungere che i bambini autistici hanno una percezione decisamente bassa del pericolo. Io stessa ho lavorato con un bambino che tentava ripetutamente di lanciarsi dalla finestra, non per istinto suicida, ma per attrazione verso l’aria, il vuoto. E’ possibile in questo senso che Alessandro si sia sporto troppo sull’argine del fiume, magari colpito da qualcosa, e sia accidentalmente caduto.

Cosa porta un bambino a dire di essere picchiato (se fosse falso) e dichiarare di volersi togliere la vita?

Innanzitutto questo dato di raccontare presunte violenze domestiche rientra nella disabilità, ma non è un criterio diagnostico e non rientra assolutamente nei tratti autistici. Se ci sono delle disabilità la realtà è più difficile da interpretare. Dipende molto dai casi; spesso raccontare violenze serve a richiamare l’attenzione su di sé, può essere anche qualcosa che si è visto e non si interpreta bene. Può essere qualcosa di vissuto ma anche di inventato. Bisogna dunque essere molto cauti quando i minori dicono qualcosa del genere e a ogni modo la prassi è quella di esaminare caso per caso. Anche la presunta volontà di Alessandro di togliersi la vita può provenire da una frase che lo ha colpito e che ha dunque ripetuto incessantemente, o dal desiderio di attirare l’attenzione. Alessandro infatti lamentava di essere deriso e che tutti ce l’avevano con lui.

Cosa pensa dottoressa della mancanza di una diagnosi precisa?

Ho letto davvero molto su questo caso e la mancanza di una diagnosi chiara mi ha lasciata sempre molto perplessa. Ho letto anche che secondo la famiglia il bambino non aveva assolutamente niente. Come abbiamo detto, i segni dell’autismo o della disabilità cognitiva si manifestano nella prima infanzia ed è quindi possibile fare una diagnosi precisa. Di certo per avere un’insegnante di sostegno una qualche diagnosi ce la deve avere avuta. Può però anche accadere che la volontà della famiglia di tutelare il minore per non farlo sentire “diverso” dagli altri porti a sottovalutare il problema. È necessario dunque effettuare diagnosi chiare e precoci perché permettono di intervenire in modo mirato ed efficace e perché problemi di questo tipo non siano più un tabù. Mi capita di avere a che fare con molte famiglie che hanno una grande vergogna e chiedono di non intervenire nella scuola e nel gruppo classe. In questo modo si peggiora la situazione perché il bambino appare più strano di quello che è. Un conto è se una stranezza è riconducibile a un disturbo dello sviluppo, un altro conto è se la stranezza riguarda le limitazioni sensoriali, per esempio un bambino selettivo che non tollera alcune cose. Far capire che la sua selettività fa parte di un quadro ridimensiona la stranezza agli occhi di tutti.

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