Maria Giovanna Romeo, giudice conosciuta e stimata, beffata dal concorso del Csm. Lo denuncia lei stessa in una lettera in cui dice addio alla toga

Beffata dal concorso del Csm. Questo ha dichiarato la giudice Maria Giovanna Romeo, professionista stimata, nota soprattutto nei primi anni Novanta come componente del collegio del tribunale che per primo condannò Vito Ciancimino.
Oggi, Maria Giovanna Romeo presidente della corte d’appello a Caltanissetta, lascia dopo la mancata nomina a Palermo.
Le motivazioni di questa decisione le spiega lei stessa in una lettera, definendosi beffata dal concorso del Csm.
Il suo obiettivo era concludere la carriera a Palermo, la sua città. Da cinque anni è presidente della Corte d’appello a Caltanissetta.
Per questa ragione aveva presentato domanda per uno dei tre posti a concorso alla corte d’appello di Palermo. Ma a quel punto, è arrivata la doccia fredda.
Il Csm non le ha riconosciuto i requisiti per vincere il concorso, ed è stata giudicata non idonea. A quel punto, Romeo ha deciso di lasciare anzitempo la magistratura.
E lo ha fatto scrivendo una lettera all’organo di autogoverno della magistratura. Questa è stata subito rilanciata dalla mailing dell’Associazione nazionale magistrati.

“La mia è una decisione drastica – afferma Romeo – senza ritorno. Sono stata trattata ingiustamente, come accade anche a molti altri colleghi. Ma ho pensato che bisognava fare qualcosa per me e per gli altri e non continuare a tacere”.

“Certo, avrei potuto presentare ricorso amministrativo al Tar — spiega Romeo — ma sarebbero passati almeno tre anni prima di avere un pronunciamento che poi avrebbe, al massimo, ordinato al Csm di riesaminare le posizioni e motivare diversamente la scelta. E sarebbe passato chissà quanto altro tempo nel quale io, ingiustamente messa da parte rispetto ad altri colleghi sicuramente validi ma altrettanto certamente meno titolati, avrei dovuto continuare a fare la pendolare tra Palermo e Caltanissetta, come faccio da cinque anni. Basta, sono stanca. A questo punto ho preferito dare un segnale e dimettermi”.
Una decisione all’insegna delle polemiche, che però rilancia i 65 ricorsi al Tar presentati nell’ultimo anno da altrettanti magistrati che ritengono di essere stati ingiustamente penalizzati dalla scelta del Csm nell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi.
Nella sua lettera, Romeo, beffata dal concorso del Csm, ricorda quanto stabilito dal testo unico per la Dirigenza.
Il quale “stabilisce degli indicatori precisi per l’assegnazione degli incarichi — dice la Romeo — e io avevo certamente più titoli di altre persone, colleghi validissimi, per carità. Che però non avevano mai fatto neanche un giorno in corte d’appello a differenza di me che ho un’esperienza di corte d’appello lunga 18 anni. Nelle motivazioni della mia esclusione c’è un clamoroso errore, è scritto che la mia esperienza è limitata al campo del lavoro, dove io invece non ho mai fatto neanche un giorno. Hanno letto male, si riferiva al curriculum della collega che, dopo di me, aveva presentato domanda. Ciò nonostante, io non sono stata ritenuta idonea”.

Un clamoroso errore o una scelta dettata da altre ragioni?

Per Maria Giovanna Romeo, non ci sono dubbi. “Da qualche tempo emerge con chiarezza che le scelte del Csm rispondono in primo luogo a logiche di lottizzazione da perfetto manuale Cencelli della prima Repubblica. Si individuano le caselle da assegnare a questa o a quella corrente, anche con l’importante contributo dei ‘laici’, e si confezionano le motivazioni per sorreggere le scelte, con una logica assolutamente insopportabile”.
La Romeo ha poi elencato la lunga lista di incarichi ricoperti.
Prima presidente di sezione penale della Corte d’appello di Caltanissetta dal 2012 (tra i processi portati a termine anche quello di secondo grado per la strage di Capaci). Poi giudice con funzioni di appello fin dal 1999; presidente vicario della Corte di Caltanissetta con reggenza effettiva da gennaio a giugno di quest’anno.
E conclude: “Non credo di essere io ad accendere questa polemica, purtroppo è un malessere molto diffuso nella magistratura italiana che tollera che colleghi molto più giovani, che hanno trascorso lunghi periodi fuori ruolo in posti dove non è richiesta la presenza di un magistrato, vengano poi preferiti a colleghi con più titoli e maggiore esperienza. Posso assicurarvi che c’è un gran numero di magistrati oggi in Italia vittime di un sistema che bisognerebbe disinnescare”.
 
 
 
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