Nel corso del travaglio, inizialmente regolare, emergeva una significativa bradicardia, il parto si completava naturalmente e il bambino veniva alla luce cianotico e con gravi problemi respiratori

L’incertezza eziologica non deve ricadere sui soggetti ritenuti in colpa poiché significherebbe ascrivere alla responsabilità civile una funzione sanzionatoria che non le è propria. In tali termini si è espressa la Suprema Corte (Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 25878 del 16 novembre 2020) pronunciandosi sul caso di una coppia che aveva citato a giudizio il Centro ostetrico e le ostetriche onde ottenere il risarcimento del danno per le conseguenze pregiudizievoli subite dal figlio al momento della nascita. Nello specifico, nel corso del travaglio, inizialmente regolare, emergeva una significativa bradicardia, il parto si completava naturalmente e il bambino veniva alla luce cianotico e con gravi problemi respiratori.

Il neonato veniva sottoposto a manovre respiratorie e trasferito presso altra Struttura dove veniva formulata la diagnosi di “encefalopatia in esito a sofferenza ipossico ischemico neonatale caratterizzata da tetraparesi spastica distonica e ritardo psicomotorio”.

Il Tribunale rigettava la domanda risarcitoria dei genitori  rilevando che il Centro -scelto con consapevolezza per la nascita del figlio- non aveva le caratteristiche ospedaliere, ma godeva di esclusiva assistenza ostetrica, di talchè la vicenda poteva considerarsi “parto domiciliare organizzato”.

Sotto tale profilo la condotta delle ostetriche, sebbene colposa, non veniva considerata avente incidenza causale sulle lesioni riscontrate al neonato in quanto il presumibile lasso temporale di trasferimento ospedaliero, seppure deciso tempestivamente, non avrebbe permesso un intervento cesareo per evitare le conseguenze pregiudizievoli.

I genitori del neonato impugnano la decisione di prime cure.

La Corte di Appello di Firenze riformava la decisione rilevando che: la causa certa dei danni subiti dal neonato era lo stato di ipossia asfissia verificatosi in occasione del travaglio;  le manovre di rianimazione neonatale delle ostetriche erano state inidonee; seppure il tempo di trasferimento non avrebbe garantito un utile taglio cesareo e che, quindi, l’ipossia non avrebbe prodotto le conseguenze che vi furono, tale incertezza non poteva non ridondare a danno del comportamento colposo che a maggior ragione doveva essere evitato e che corrette tecniche di rianimazione effettuate nell’immediato da medico competente potevano certamente attenuare, se non eliminare, le conseguenze verificatesi.

In ogni caso, sottolineava la Corte, la responsabilità delle ostetriche era stata accentuata dalla cattiva organizzazione della struttura, che avrebbe dovuto essere realizzata con presidio medico, come non accadeva, e come non veniva detto ai genitori al momento della scelta, posto che risultava un consenso scritto contenente informazioni non veritiere che segnalavano l’opportuna presenza di un ospedale ad alcuni minuti dal centro nascita, per le urgenze eventuali.

Avverso la decisione propone ricorso per Cassazione l’Azienda Sanitaria toscana lamentando che la Corte territoriale avrebbe errato sovrapponendo il profilo della colpa con quello causale, e che avrebbe errato nel motivare la prospettata riduzione delle conseguenze dannose sulla vittima, laddove, invece, avrebbe dovuto accertare la maggiore probabilità della stessa sopravvivenza, e non un mero aumento della sua possibilità.

Lamenta, inoltre, errato addebito di responsabilità in capo alle ostetriche, non dovuto risarcimento del danno per violazione degli obblighi alla corretta informazione e mancata applicazione del principio del più probabile che non.

Gli Ermellini preliminarmente evidenziano che la Corte ha sovrapposto il profilo della causalità materiale con quello della colpa e il profilo della causalità materiale con quello della causalità giuridica.

Per quanto riguarda la violazione del consenso informato viene evidenziato che l’analisi del consenso informato svolta dai Giudici di merito era finalizzata a vagliare  se vi fosse stata una causa di esclusione dell’imputazione dell’illecito contrattuale posto alla base della domanda, in ragione dell’assenso al parto in un centro non ospedaliero quale quello descritto nel momento perfezionativo del contratto di spedalità.

In materia di responsabilità sanitaria, viene ribadito, qualora venga allegato e provato come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, un danno c.d. biologico, ai fini dell’individuazione della causa immediata e diretta di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno c.d. biologico scaturente dall’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza.

La Corte di Appello implicitamente ha ritenuto che quel consenso non sarebbe stato prestato ove fosse stato idoneamente chiarito che per raggiungere l’altra Struttura Sanitaria la tempistica effettivamente assicurabile, in relazione a urgenze, non era di  pochi  minuti come indicati nell’informativa resa, ma complessivamente fino a circa un’ora e mezzo, cioè in misura non idonea per far fronte ad un’urgenza.

Il Giudice di merito ha fondato su tale assunto, ovverosia sulle carenze di organizzazione, la responsabilità del Centro medico: in questa visuale non coglie nel segno la censura di parte ricorrente inerente la scelta consapevole di un’assistenza al parto non medicalizzata.

Tuttavia, il Giudice di merito, collocando il rilievo della violazione del consenso informato nella sequenza causale, avrebbe dovuto procedere, a un giudizio controfattuale vagliando se, anche con un presidio ospedaliero finitimo, ossia anche escludendo questa condotta causalmente ritenuta, in fatto, determinante, un trasferimento senza alcun ritardo colposo, come quello decisionale imputato alle ostetriche,  avrebbe potuto, o meno, evitare l’evento dannoso.

La Corte di Appello si è limitata, invece, ad affermare che l’incertezza sulla tempistica per il raggiungimento della struttura ospedaliera, non poteva riflettersi se non a carico delle ostetriche e del Centro, per poi affermare apoditticamente che l’evento di danno non si sarebbe verificato o almeno le conseguenze sarebbero state più tenui.

Così facendo, per un verso, è stato sovrapposto il profilo della colpa con quello della causa materiale, per l’altro il profilo della causalità materiale con quello della causalità giuridica.

La causalità materiale si risolve nel giudizio controfattuale da condurre secondo il parametro del più probabile che non, la causalità giuridica selezionerà invece le conseguenze riconducibili, con un canone di regolarità causale, a quell’evento di danno, e come tali risarcibili.

In buona sostanza, la Corte d’Appello, errando, ha annullato il giudizio controfattuale ed ha fatto ricadere l’incertezza eziologica sui soggetti ritenuti in colpa, ascrivendo così alla responsabilità civile una funzione sanzionatoria che non le è propria.

In tal modo è stato violato il principio secondo cui in tema di inadempimento professionale, il danno evento consiste nella lesione del diritto alla salute e non nella lesione dell’obbligazione in sé.

In quel perimetro, qualora rimanga ignota la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli saranno a carico del creditore della prestazione, qualora invece rimanga ignota la causa dell’impossibilità sopravvenuta le conseguenze sfavorevoli saranno a carico del debitore.

Con la seconda sovrapposizione, invece, la Corte ha scambiato la valutazione dell’individuazione delle conseguenze risarcibili con quella dell’imputazione oggettiva: ciò è dimostrato dalla circostanza che sono state imputate alle ostetriche le omissioni di corrette manovre rianimatorie che avrebbero dovuto essere svolte da un Medico competente.

Ed ancora, la Corte territoriale ha errato ancorando alle proprie motivazioni le maggiori chances che il neonato avrebbe avuto con un trasferimento deciso anticipatamente in quanto la domanda azionata in giudizio riguardava non la perdita di chances, bensì il risarcimento del danno alla salute.

La perdita di chances non può significare “una supplenza dell’incertezza causale”.

In conclusione il ricorso viene accolto e la sentenza viene cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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