Non è configurabile il reato di diffamazione quando le espressioni offensive sono contenute in una chat privata

I messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione” (come appunto la chat privata), devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e involabile

La vicenda

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Parma l’attrice aveva impugnato il licenziamento per giusta causa intimatole dalla società presso la quale era impiegata come operaia addetta alla cucina, perché illegittimo stante l’insussistenza del fatto materiale, nonché la sproporzione tra la condotta addebitata e la sanzione applicata.

La donna era stata licenziata per aver proferito in alcune conversazioni Whatsapp “pesanti offese personali” nei confronti del legale rappresentante della società convenuta, idonee a lederne l’immagine professionale e personale, nonché minacce di sabotaggio aziendale. Le asserite offese rivolte dalla ricorrente nei confronti della società non erano state espressamente riportate nella lettera di contestazione disciplinare né nella memoria difensiva.

Al contrario l’attrice aveva prodotto in giudizio le trascrizioni di tali conversazioni dalle quali, a suo dire, non era possibile evincere alcun intento diffamatorio.

Indubbiamente le conversazioni contestate erano avvenute in una chat ad accesso limitato, poiché riservata ai membri della stessa e ove l’attrice insieme ad alcune colleghe parlavano di quello che succedeva sul lavoro e si sfogavano l’un l’altra, esprimendo talvolta commenti negativi sul datore di lavoro e lamentandosi delle condizioni di lavoro.

Per l’adito Tribunale di Parma (sentenza del 07/01/2019) “tali commenti, indubbiamente espressi con toni piccati che manifesta[va]no l’astio e la scarsa stima nei confronti del datore di lavoro, risultavano comunque riconducibili al diritto di critica tutelato dall’art. 21 della Costituzione”.

Peraltro, visto l’utilizzo frequente di emoticon di vario genere e di battute di tipo umoristico, non era stato facile comprendere se alcune delle frasi contestate fossero state dette seriamente o enfatizzate proprio in ragione del contesto deformalizzato e amicale della conversazione.

La configurabilità di una condotta diffamatoria in una chat privata

Ebbene, in merito alla configurabilità di una condotta diffamatoria in una chat riservata, la Suprema Corte ha recentemente dato un parere negativo, escludendo che possa integrarsi un tal genere di condotta all’interno di un ambito privato, ove l’accesso è consentito solo a membri predeterminati, precisando altresì come le conversazioni che avvengono tramite mailing list riservate, newsgroup chat private debbano essere tutelate ai sensi dell’art. 15 Cost., che stabilisce la segretezza della corrispondenza e che, pertanto, “i messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione”, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e involabile” (ordinanza Cass.10.09.2018 n. 21965).

Pertanto, ad avviso del Giudice, alla luce delle considerazioni sopra esposte, le espressioni utilizzate dalla ricorrente nelle conversazioni Whatsapp esaminate non potevano ritenersi illegittime e, dunque, diffamatorie. Per tutte queste ragioni, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo.

La redazione giuridica

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