Pubblicati su una prestigiosa rivista scientifica americana i dati di uno studio sulla pratica clinica italiana condotto presso l’ASST Papa Giovanni XXIII

Arrivano oltreoceano i risultati del Registro “SAS” (The Surgery After Stenting Registry), realizzato presso l’ASST Papa Giovanni XXIII su incarico della Società Italiana di Cardiologia Intervetistica (GISE), con l’obiettivo di tenere traccia dei risultati dell’applicazione delle linee guida nella pratica clinica quotidiana.

Lo studio, condotto dal medico Roberta Rossini dell’Unità Cardiologia 1, è stato infatti pubblicato sul numero di luglio della rivista americana Catheterization and cardiovascular interventions, organo ufficiale della Società Americana di Cardiologia Interventistica (SCAI).

Il lavoro ha raccolto i dati dell’applicazione nella pratica clinica delle linee guida firmate GISE-ANMCO sulla gestione della terapia antiaggregante nei pazienti portatori di stent coronarici che devono sottoporsi a un intervento chirurgico.

“E’ per noi motivo di grande soddisfazione – ha commentato Roberta Rossini – vedere il nostro lavoro pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica americana e i commenti più che positivi che sta originando tra i colleghi d’oltreoceano, di solito non così inclini a lodare i lavori europei. Questo studio è importante perché ha dimostrato la fattibilità di utilizzo effettivo nella pratica clinica quotidiana delle nostre linee guida, con più di mille pazienti coinvolti. Inoltre i dati dimostrano un profilo di sicurezza sul fronte dei rischi ischemici e emorragici, che rientra negli standard interventistici generalmente accettati”.

I dati pubblicati sulla rivista americana hanno riguardato 1.082 pazienti portatori di stent coronarici, che hanno subìto un intervento chirurgico. L’85% sono stati trattati secondo le linee guida, con la somministrazione di aspirina in fase pre operatoria nel 69,7% dei casi e della duplice terapia antiaggregante nel 10,5% dei casi. L’incidenza di eventi avversi cardiovascolari e complicanze durante il periodo di degenza è stato del 12,7%. Le complicanze ischemiche sono state molto basse attestandosi al 3,5% a 30 giorni con una bassissima incidenza di trombosi di stent, pari allo 0,2%.

Prima del lavoro realizzato presso l’ASST di Bergamo la gestione perioperatoria della terapia antiaggregante in questi pazienti non era mai stata chiaramente definita e a prevalere erano le infondate preoccupazioni per un aumentato rischio di sanguinamento, con conseguenti incaute sospensioni dei farmaci antiaggreganti.

“Oggi invece sappiamo che sospendere i farmaci antiaggreganti prescritti dopo l’inserimento dello stent può essere molto pericoloso – prosegue Rossini – perchè si riduce leggermente il rischio di emorragie, ma si aumenta la probabilità che il paziente vada incontro a eventi cardiaci molto più gravi. Le nostre linee guida raccomandano l’uso dell’aspirina nella maggioranza degli interventi chirurgici e di non sospendere la terapia antiaggregante in tutte le operazioni che hanno un basso rischio emorragico. Questo è un problema di enorme portata se si pensa che ogni anno nel mondo vengono impiantati circa 2 milioni di stent e circa il 4%-8% di questi pazienti deve sottoporsi a un intervento chirurgico nei successivi 12 mesi. Ora invece siamo riusciti ad uniformare la gestione della terapia antiaggregante, indirizzando in modo ragionevole e al meglio delle conoscenze attuali, le scelte terapeutiche, colmando un vuoto pericoloso per operatori e pazienti.”

Il protocollo è stato anche adottato come linea guida aziendale dall’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo e da altre aziende ospedaliere italiane. E’ inoltre stato segnalato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari (AGENAS) come esempio di Buona Pratica clinica.

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