Confermata in Cassazione la condanna del direttore di uno stabilimento per l’infortunio occorso a un lavoratore entrato in collisione con il carrello di sollevamento guidato da un collega

In sede di merito era stato condannato, in qualità di datore di lavoro e di direttore di stabilimento, del reato di lesioni colpose (art. 590 cod. pen.) ai danni di un operaio, avendo omesso di disporre che le vie di circolazione e transito fossero predisposte e segnalate in modo tale che le aree di deposito e quelle di lavoro fossero differenziate, per evitare interferenze tra pedoni e carrelli elevatori, sì da garantire la sicurezza dei pedoni e dei veicoli. Il lavoratore, uscendo dalla porta a tendina del reparto, stante la presenza di ingombri che limitavano la visibilità, entrava in collisione con il carrello di sollevamento e trasporto condotto da un collega, la cui ruota anteriore destra gli calpestava il piede destro.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’imputato deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte d’appello non aveva tenuto conto – a suo dire -che il carrellista aveva un’esperienza più che ventennale nella conduzione di carrelli ed era stato correttamente formato e informato dal datore di lavoro. La velocità tenuta dal carrello era idonea alla tipologia di percorso effettuato all’interno dello stabilimento, poiché esso procedeva sostanzialmente a passo d’uomo. L’urto tra il mezzo e il pedone era avvenuto in corrispondenza del punto d’appoggio della ruota anteriore destra sulla pavimentazione, a una distanza superiore a 1,2 metri dall’estremità frontale delle forche del carrello. Tale tipologia di contatto, propria anche dell’infortunistica stradale, è quella tipica del pedone che, senza accorgersi del mezzo in transito, intraprende l’attraversamento della sede stradale e infila un piede sotto la ruota anteriore del mezzo in movimento. Non poteva neanche sostenersi che il carrello elevatore procedesse a filo dei contenitori. Era noto all’infortunato, così come a tutti gli operatori del reparto, che quella zona dell’androne era interessata dal passaggio di carrelli elevatori. L’infortunato svolgeva da lungo tempo la sua attività lavorativa all’interno del reparto scatolamento ed era pertanto a perfetta conoscenza del transito di carrelli elevatori. Vi era pacificamente la possibilità, per l’infortunato, di accorgersi dell’arrivo del carrello elevatore, adottando l’abituale norma di comportamento propria del normale pedone stradale e consistente nell’osservare se la via è libera. Se così avesse fatto, il pedone si sarebbe accorto del mezzo, come chiaramente evidenziato nelle planimetrie allegate alla relazione di consulenza tecnica di parte, ove era stato riportato il campo visivo a filo dei contenitori, tale da consentire alla persona offesa di accertarsi della presenza di eventuali carrelli in movimento ad una distanza di almeno 10 metri, pari a circa 10 secondi. Il carrello elevatore era comunque dotato di lampeggiatore, con luce arancione, e dunque tale da essere facilmente visibile anche senza accorgersi direttamente del mezzo. Era dunque ininfluente la circostanza che l’androne del reparto fosse spoglio o meno di materiali perché il rispetto delle elementari regole della circolazione sarebbe stato sufficiente ad evitare l’evento, tanto più che l’inosservanza delle basilari norme comportamentali proprie del normale pedone stradale non pareva neanche collocabile nell’area di rischio connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa aziendale.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 36181/2021, non hanno ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte evidenziando come le doglianze formulate esulavano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum.

In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre.

Nel caso di specie, il giudice a quo aveva evidenziato come dalle deposizioni, oltre che dall’esame della documentazione fotografica acquisita, fosse emerso che proprio accanto alla porta da cui era transitato il lavoratore era presente materiale accatastato che limitava la visibilità sia del pedone che del conducente del carrello, poiché vi erano due cataste di cassoni, senza che fosse peraltro delimitato lo spazio destinato al transito dei mezzi e quello destinato alla circolazione dei pedoni, benché l’assidua frequentazione di quell’area rendesse necessario prevedere anche delle strisce, tipo attraversamento pedonale, che invece mancavano. Dunque l’area antistante la porta in questione era utilizzata normalmente sia quale via di transito per i carrelli sia quale passaggio per i pedoni che dovevano recarsi ai servizi igienici o al punto di ristoro, in assenza di qualsiasi distinzione tra l’area destinata agli uni e agli altri e quindi in una situazione di obiettiva interferenza tra veicoli e pedoni. Unica misura precauzionale, per evitare che i veicoli transitassero a filo della porta da cui potevano uscire i pedoni, era costituita dalla collocazione di basse barriere metalliche, larghe circa 35-40 cm, ai lati della porta e che, in sostanza, dovevano servire a impedire che i carrelli transitassero a una distanza inferiore ai 45 -50 cm dalla porta. Ma si trattava di misura precauzionale insufficiente, in considerazione delle modeste dimensioni della barriera; in difetto di adeguate differenziazioni delle due vie di circolazione e in assenza di specifiche segnalazioni delle stesse, essendo perciò possibile per i pedoni attraversare in via ortogonale l’area in cui transitavano frequentemente i muletti e i carrelli elevatori, in una condizione di generale confusione che appariva indubbiamente aggravata dalla presenza degli ingombri citati, posto che la presenza del pedone non era visibile preventivamente dal carrellista né quella del carrello era immediatamente percepibile dal pedone. D’altronde la presenza di materiali non risultava frutto di una situazione straordinaria, stante l’assenza di specifiche indicazioni che tale presenza evitassero o dell’adozione di provvedimenti in tal senso.

La redazione giuridica

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