L’infortunio del lavoratore, colpito dalla lama della motosega con postumi permanenti del 21%, nella misura differenziale viene posto a carico del datore di lavoro (Tribunale di Piacenza, Sez. lavoro, Sentenza n. 145/2020 del 30/03/2021 – RG n. 346/2017)

Il lavoratore cita a giudizio il datore di lavoro lamentando malattia ed esiti invalidanti – marcata ipomiotrofia diffusa mano sx e ipostenia attendibile ipoestesia – scaturiti da infortunio sul lavoro che subiva in data 15.7.2014 allorché veniva colpito dalla lama di una motosega che stava utilizzando per il taglio di piantagione nella regione ulnare dell’avambraccio sinistro e che gli procurava una ferita lacero contusa esitante, interalia, nella lesione subtotale del nervo ulnare (c.d. mano benedicente).

IL lavoratore deduce la responsabilità datoriale per violazione dell’art. 2087 c.c., e chiede il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, in misura differenziale e complementare rispetto a quanto indennizzato dall’Inail, che riconosceva nel 21% il grado dei postumi invalidanti.

Si costituiscono in giudizio il datore di lavoro e la Compagnia assicuratrice garante deducendo che l’infortunato avrebbe repentinamente e incontrollabilmente ghermito la motosega quando assolutamente ciò non gli sarebbe stato consentito dal suo mansionario e, che lo avrebbe fatto mentre adempiva non già l’obbligazione lavorativa, ma l’obbligo del lavoro di pubblica utilità cui era stato condannato da pregressa sentenza penale per guida in stato di ebrezza.

I convenuti affermano che il lavoratore aveva la qualifica di giardiniere ausiliario addetto alla raccolta manuale di rami, ramaglie e scarti di potatura, che poi venivano caricati sul furgoncino e consegnati alla discarica comunale.

Seguendo tale tesi, il giorno dell’infortunio solo il “caposquadra” doveva utilizzare la motosega per i tagli , poiché in possesso della necessaria esperienza e formazione e degli appositi presidi di sicurezza.

Il Giudice, sulla tesi del datore di lavoro e della Compagnia assicuratrice, afferma di non ritenere dimostrato il comportamento abnorme del lavoratore infortunato.

Il lavoratore, utilizzava la motosega per tagliare i rami a terra, allo scopo di ridurre l’ingombro delle potature, di talchè non può dirsi che assumeva un rischio elettivo, né che si comportava in modo anomalo, ma eseguiva una operazione pertinente alle mansioni lavorative da svolgere.

Sulla scorta di tale ragionamento emerge la responsabilità del datore di lavoro e incidentalmente il Tribunale osserva che l’elemento soggettivo del reato (lesioni personali) – non essendo provato un ordine di eseguire il taglio con la motosega senza i Dispositivi di Protezione Individuale (gli unici disponibili erano indossati dal caposquadra) – è da ravvisare nella culpa in vigilando, perché il caposquadra non era in grado (“portando le cuffie antirumore”) ovvero, negligentemente, non si avvedeva della mancanza dell’altra motosega sul pianale della piattaforma e che l’infortunato la stesse adoperando senza DPI.

Oltretutto, il lavoratore che formalmente e concretamente riveste la qualifica di caposquadra, al momento del sinistro non era neppure presente in loco.

Perciò, il fatto sussiste e costituisce reato.

Inoltre, dalla fase istruttoria è emerso un comportamento imprudente del lavoratore infortunato, che non ha dimostrato che l’uso della motosega per tagliare i rami a terra gli fosse ordinato nonostante fosse privo di DPI, né ha allegato di aver chiesto i DPI prima di iniziare ad usare la motosega.

Anzi, dalle prove testimoniali sembrerebbe che l’infortunato di sovente utilizzava la motosega senza indossare gli appositi presidi di sicurezza.

Il nesso di causalità, specifica il Tribunale, consta di due distinti segmenti.

Il primo, di stampo penalistico, determina la responsabilità per l’illecito (nella specie, inadempimento ex art. 1218 c.c.), perché lega il fatto commissivo od omissivo all’eventus damni.

In questo segmento, solo un comportamento abnorme del creditore può esentare da responsabilità penale (perché il fatto non sussiste) e integrare “impossibilità della prestazione derivante da causa .. non imputabile” al debitore dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. .

Il secondo segmento, invece, lega all’eventus damni il pregiudizio risarcibile ex art.1223 c.c., ed è in questo ambito che può ed è, nella specie, rilevante il concorso di colpa dedotto dalla convenuta ex art. 1227 c.c., che non involge la “responsabilità “, ma il “danno” e può unicamente determinare “diminuzione” del risarcimento.

Pare congruo al Tribunale ritenere meno che grave, ma più che lieve, la mancanza del lavoratore e stimarne l’incidenza del concorso colposo nel 25% dei pregiudizi patiti.

La convenuta e l’assicurazione sostengono che il lavoratore, al momento dell’infortunio, non stesse eseguendo una prestazione lavorativa per la quale fosse operante l’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 c.c., ma lavori di pubblica utilità cui era stato penalmente condannato.

Tale questione, per quanto interferente con il thema decidendum, è irrilevante ai fini della decisione.

L’infortunato, nel periodo di espiazione del lavori di pubblica utilità aveva con il datore convenuto un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e – stante l’oggetto sociale perseguito dal datore di lavoro medesimo, ovverosia manutenzione del verde pubblico e igiene ambientale -, era ammesso a scontare la pena non già al di fuori dell’orario di lavoro, bensì durante l’orario di lavoro , modalità alla quale il datore di lavoro acconsentiva.

Praticamente, l’infortunato, nei limiti dell’orario di lavoro dedicato alla esecuzione della pena al tempo stesso adempiva l’obbligazione lavorativa, con l’unica differenza che per le ore conteggiate in espiazione della condanna penale il datore era esentato dalla obbligazione retributiva con il consenso del prestatore e, in ogni caso, per impossibilità assoluta della prestazione derivante da causa non imputabile – factum principis – a norma dell’art. 12 18 c.c. (doc. n. 36 fasc. conv., art. 5 comma 1).

Ciò posto e chiarito, il datore di lavoro non è però esentato dall’obbligazione di sicurezza.

E difatti, il datore convenuto non ha prodotto in giudizio la polizza antiinfortunio che avrebbe dovuto obbligatoriamente stipulare a norma della convenzione sottoscritta per i lavori di pubblica utilità.

Venendo alle lesioni subite dal lavoratore, la CTU ha confermato la quantificazione dei postumi permanenti svolta dall’Inail nella misura del 21% con 210 gg complessivi di inabilità temporanea assoluta e parziale.

Quanto alla invalidità temporanea, il pregiudizio è calcolato in valore lievemente superiore al minimo delle tabelle milanesi 2018 (euro 99,00 giornalieri), Il danno non patrimoniale per premorienza è valutato nello standard di euro 11.346,00 (7220,00 +2063,00 +2063,00).

Sommano, pertanto, euro 21.500,00, che devono essere devalutati all’epoca dell’infortunio e rivalutati all’attualità con l’aggiunta di interessi compensativi e dai quali si detrae il 25% circa di concorso colposo ed euro 5.333,00 di rendita Inail erogata per danno biologico permanente.

L’assicurazione terza chiamata – che non ha allegato alcun pregiudizio derivante dall’inadempimento del datore all’obbligo di tempestivo avviso del sinistro (ar tt. 1913 e 1915 c.c.) e, comunque, ne era anteriormente a conoscenza per le richieste avanzate in forza della polizza prodotta in atti – ed a norma della garanzia prevista nell’art. 3.3 “Responsabilità Civile verso i Prestatori di Lavoro – R.C.O.” – è tenuta a manlevare e tenere indenne la convenuta datrice di lavoro di quanto la parte deve pagare ai ricorrenti per danno differenziale e complementare subito dal de cuius e di quanto deve pagare ad Inail in ragione della domanda di regresso per le indennità corrisposte all’infortunato.

Le spese di giudizio, seguono la soccombenza, mentre le spese della CTU vengono poste a carico dell’assicurazione terza chiamata.

In conclusione, il Giudice del Lavoro, dichiara la società datrice di lavoro responsabile per fatto e colpa dell’infortunio sul lavoro patito dal dipendente in data 15.7.2014 in Piacenza e la condanna a pagare a titolo di risarcimento per equivalente del danno non patrimoniale subito dal dante causa la somma di euro 11.500,00, detratta l’indennità Inail per danno biologico e la quota inerente il concorso colposo del danneggiato, oltre interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo.

Avv. Emanuela Foligno

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