I professionisti sono accusati di omicidio colposo in relazione al decesso di un anziano morto per complicanze dopo un intervento di asportazione del colon

Il gip presso il Tribunale di Termini Imerese ha disposto l’imputazione coatta di due medici in servizio nel 2016 all’ospedale di Cefalù. I due professionisti sono indagati per omicidio colposo nell’ambito dell’inchiesta sul decesso di un 85enne, morto nel gennaio di quattro anni fa per complicanze dopo un intervento.

Come ricostruisce Palermo Today, l’anziano si era recato in Pronto soccorso accusando forti dolori addominali. Ricoverato in Chirurgia generale, il giorno successivo era finito sotto ai ferri per l’asportazione di una parte del colon. Nel post operatorio le sue condizioni, inizialmente stazionarie, si erano poi aggravate. Il paziente avrebbe cominciato ad avere difficoltà respiratorie, poi sarebbero insorti problemi al cuore nonché un’occlusione intestinale. Una tac aveva quindi evidenziato la presenza di “un’ernia della parete addominale, con ansa intestinale”. Operato nuovamente l’uomo era poi finito in terapia intensiva, dove era morto il 17 gennaio.

L’inchiesta, avviata in seguito alla denuncia presentata dai parenti, era sfociata in una prima richiesta di archiviazione da parte della Procura. L’esito dell’autopsia, infatti, non aveva evidenziato responsabilità a carico dei medici. Il Gip, tuttavia, aveva rinviato gli atti al Pm perché facesse ulteriori indagini sul caso, anche sulla scia delle conclusioni dei consulenti della famiglia della vittima, totalmente difformi da quelle della pubblica accusa.

Il magistrato inquirente, in seguito a una nuova perizia medico-legale in incidente probatorio, aveva nuovamente chiesto di chiudere il fascicolo, scontrandosi ancora una volta con l’opposizione dei legali di parte civile.

Il Giudice ha ritenuto invece gli elementi acquisiti idonei per sostenere l’accusa in giudizio ravvisando “violazioni di regole cautelari, di prudenza, perizia o diligenza” e considerando opportuno un approfondimento dibattimentale della vicenda.

Più specificamente, ha evidenziato come i sanitari disponessero di una serie di evidenze cliniche che, “se precocemente interpretate ed indagate, avrebbero permesso loro di instaurare nei tempi dovuti i protocolli terapeutici necessari” e che con i dovuti accertamenti  “l’avvenuta complicanza (ernia ombelicale intasata) sarebbe stata precocemente diagnosticata e risolta e ciò, con elevata probabilità prossima alla certezza, avrebbe modificato il prosieguo degli accadimenti clinici che portarono all’exitus del paziente”.

In particolare, il capo dell’équipe medica che operò il paziente “non risulta abbia prestato alcuna particolare cura alle complicanze”; al contrario – a detta del Gip –  avrebbe dovuto disporre “un apposito monitoraggio, ovvero informarsi anche solo telefonicamente, delle condizioni del paziente con i sanitati che egli, di certo, sapeva essere di turno in sede”. Per questo la sua condotta nella fase postoperatoria non risulterebbe “conforme a quella suggerita dalla migliore scienza ed esperienza e, quindi, sotto il profilo oggettivo, colposa”.

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